Politica
Fioramonti:” Bisogna avere una strategia che vada oltre il semplice conteggio delle morti e dei contagi”
L’on. Fioramonti:” Abbiamo bisogno di tutto tranne che dell’idea di un uomo o una donna sola al comando. Abbiamo bisogno di aprirci, di condividere, di discutere, perché nessuno ha la ricetta pronta ed è un momento di difficoltà per la scuola.”

Da poco è stato approvato il nuovo decreto per far fronte all’emergenza coronavirus che prevede varie misure in campo economico ma anche in campo scolastico. La ministra Azzolina in conferenza stampa si è scusata con “tutti i precari perché non sarà possibile aggiornare le graduatorie di istituto. Non riusciamo a portare avanti un milione di moduli cartacei, ci riaggiorneremo il prossimo anno.” Nel settore della scuola sono molte le misure discusse: all’interno del decreto vi sono infatti due piani da seguire secondo l’evolversi dell’emergenza ma c’è chi, già bolla il primo piano proposto come inutile. In questi giorni inoltre, non si è ancora giunti ad una decisione definita dell’eurogruppo per quanto riguarda l’utilizzo dei coronabonds. Di tutto questo abbiamo parlato con l’on. Lorenzo Fioramonti, ex ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
- Recentemente sul suo profilo facebook ha lanciato delle possibili proposte da attuare durante questa crisi tra cui la proposta di un nuovo Patto di sostenibilità e benessere per eliminare la pratica di dumping tra i Paesi e inoltre ha sostenuto l’importanza dell’introduzione dei Coronabonds. Ci spieghi perché ritiene essenziale queste due misure.
Questo è un momento di svolta per l’Unione Europea: o cambia, o rischia di crollare. Quindi, siccome ormai c’è una convergenza trasversale a tutte le forze politiche sul fatto che il Patto di stabilità e crescita fatto all’inizio degli anni ’90 non abbia più senso, perché blocca la capacità di sviluppo dell’Unione Europea, sacrifica lo spirito di solidarietà e perché i tempi sono fondamentalmente cambiati rispetto agli anni ’90, c’è bisogno di un nuovo patto, di nuove regole. C’è bisogno di un nuovo orizzonte, di chiederci che tipo di sviluppo vogliamo per l’Unione Europea. E’ ovvio, dunque, che le parole che emergono con più forza sono quelle che caratterizzano le grandi sfide del presente, cioè: la sostenibilità (leggasi cambiamenti climatici, la sfida dello sviluppo sostenibile, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e così via) e poi la sfida del benessere, cioè la salute, la cura della persona, tutto quello che ha a che vedere con la grande sfida della pandemia.
Questi dovrebbero essere i due pilastri sui quali costruire un nuovo modello di Europa, un nuovo modello di sviluppo, con nuove regole, nuovi principi, nuovi parametri, e ovviamente un superamento della logica del Prodotto Interno Lordo, del deficit, del debito, in una fase in cui c’è bisogno di un’economia espansiva, con degli obbiettivi di sostenibilità, appunto, e di benessere diffuso. Gli eurobond in tutto questo discorso sono essenziali, perché sono uno strumento che permette ai Paesi membri dell’Unione Europea di avere una rete di salvataggio comune, un budget comune, una risorsa comune, mentre ad oggi l’Unione Europea è la somma delle sue parti – a volte neanche quello. Anzi, molto spesso gli stati membri si fanno competizione l’un l’altro. Per esempio, a livello fiscale.
L’Olanda, che oggi si oppone agli eurobond, è un Paese che si è avvantaggiato di un sistema fiscale più basso rispetto agli altri, cercando di attirare in maniera scorretta e sleale le imprese degli altri Paesi. Se si cominciasse a fare dumping fiscale gli uni con gli altri, praticamente andremmo a rotoli. Non possiamo fare in modo che alcuni Paesi se ne avvantaggino rispetto agli altri, creando delle differenze di sostanza, che poi mettono a repentaglio l’equilibrio dell’intera Unione Europea. Uno dei principi del Patto dovrebbe essere un comune livello fiscale. Poi le aziende scelgono dove andare ad operare in base ad altri principi, ma non al fatto che hanno una tassazione di favore.
C’è bisogno di qualcosa che davvero unisca: come si fa in una famiglia, si mettono in comune le risorse di partenza. Gli eurobond potrebbero dare quella spinta innovativa dal punto di vista finanziario che permetta all’Unione Europea di mettere in campo delle risorse importantissime per uno slancio espansivo verso il futuro, così come è stato fatto in tutti i momenti di grande transizione, ad esempio nel secondo dopoguerra.
- Nello stesso post del suo profilo, lei condivide l’idea lanciata da Beppe Grillo riguardo l’istituzione di un reddito universale come misura di sostegno alle famiglie in difficoltà. Non crede che in questo momento già delicato per la nostra economia, l’attuazione di quest’ultimo sia un po’ difficile? Condivide le misure adottate dal Governo?
Le misure adottate dal Governo sono sicuramente giuste e vanno nella direzione corretta, ma sono largamente insufficienti. Sono spesso dosate in maniera molto limitata e quindi non riescono ad avere l’effetto di dare un orizzonte di tutela ai milioni di italiani che si troveranno in grandissime difficoltà economiche. Ormai tutti stimano che questa sarà la più grande recessione degli ultimi cento anni. Avremo un livello di pressione economica probabilmente superiore a quello degli anni ’30. Qui dobbiamo mettere in campo delle risorse senza limiti. Non lo dico io, l’ha detto anche l’ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. La mia domanda è: se non ora, quando? Se non è ora il momento di pensare ad un reddito universale, un reddito di base che comunque sia a maglie talmente larghe da poter raggiungere milioni di famiglie bisognose nel giro di pochi giorni, nel giro di poche settimane… se non ora, quando? Cosa deve capitare al nostro Paese, al nostro continente, al nostro mondo perché si comincino a mettere in campo delle innovazioni?
L’idea del reddito universale ha una storia molto lunga, non l’ha inventata Beppe Grillo (che giustamente la ripropone), ma ha una storia economica molto lunga e una base teorica molto forte. C’è bisogno di un reddito di questo tipo. Non solo perché siamo in emergenza, ma anche perché siamo in una transizione economica, verso nuovi modelli produttivi, verso nuovi modelli di impresa. C’è quindi un bisogno fondamentale di una “safety net”, una rete di sicurezza che permetta alle persone che oggi lavorano di poter dire: “Voglio cambiare il mio lavoro, perché magari il mio lavoro è in un’economia che non funziona più, è in un’economia che inquina, non posso rimanere attaccato alla mia funzione, devo immaginarmi un lavoro nuovo, devo reinventarmi, ma in questa fase di transizione almeno lo Stato mi aiuta”.
Oppure: “Sono un imprenditore che vuole rimettere in piedi la sua impresa e riconvertirla al nuovo modello produttivo… beh, lo Stato mi aiuta, perché mi sostiene dal punto di vista del reddito nel momento di transizione”. E così via. Altrimenti noi, ammesso anche che riusciremo a superare la crisi Covid (se siamo molto fortunati), rischiamo però di ritrovarci tra qualche anno con tutte queste imprese (che abbiamo recuperato, salvato con soldi pubblici pur di continuare con la loro produzione), completamente fuori dal mercato, perché il mercato nel frattempo è cambiato ed esse non sono più competitive. Perché i loro modelli produttivi sono obsoleti, quindi ci ritroveremo con una nuova crisi economica, magari questa volta tutta italiana. E invece dobbiamo guardare avanti e dire:
“Abbiamo bisogno di una forma di sostentamento per incoraggiare tutto il nostro settore produttivo a ripensarsi nei tempi più rapidi possibili, per essere competitivo nell’economia che verrà”
- Nei giorni scorsi è stato anche pubblicato un nuovo decreto che riguarda il mondo della scuola. Data la sua precedente esperienza, come giudica le misure prese? Non crede vi siano “delle disparità” nella didattica online?
Sulla scuola credo che in questi mesi si siano fatti molti errori, soprattutto dal punto di vista di stile e di guida politica. Ovviamente è una fase difficile per la scuola e il Ministero si è ritrovato proiettato in un’emergenza senza precedenti, estremamente complessa da gestire. Proprio per questo, servirebbe da parte del Ministero, una maggiore condivisione, una maggiore apertura, una trasversalità delle proposte, collaborazione con i sindacati, collaborazione con il mondo della scuola, collaborazione con tutte le forze politiche che oggi magari non sostengono il Governo, ma che hanno idee da offrire per la salvaguardia del nostro sistema scolastico. Al contrario, invece, abbiamo visto un Ministero che si arrocca sempre di più, che parla poco, che comunica con difficoltà e spesso prende decisioni che non sono neanche condivise dall’intero ufficio politico del Ministero, quindi magari non da tutti i Sottosegretari.
Ecco, abbiamo bisogno di tutto tranne che di queste divisioni. Abbiamo bisogno di tutto tranne che dell’idea di un uomo o una donna sola al comando. Abbiamo bisogno di aprirci, di condividere, di discutere, perché nessuno ha la ricetta pronta ed è un momento di difficoltà per la scuola. La didattica a distanza, che è sicuramente importante, è stata introdotta spesso senza le condizioni di base perché le scuole potessero farlo in maniera efficiente. Questo ha creato delle tensioni con le famiglie. Quindi noi dobbiamo essere il più possibile ecumenici, comprensivi. C’è bisogno di questo stile di leadership in questo momento. Io mi auguro che il Ministero riesca a farlo e che questo Decreto, magari nel modo in cui verrà riconvertito, possa essere un’opportunità per dire: finora abbiamo fatto un po’ tutto dall’alto verso il basso, ora è il momento di ascoltare di più chi nella scuola lavora da anni e si sta cimentando affinché la scuola possa non solo reggere, ma magari utilizzare questa sfida come un’opportunità per rilanciarsi.
Io, come Ministro, avevo introdotto un percorso di assunzione di oltre 50.000 precari della scuola. Questo è il momento per velocizzare quel percorso di selezione, anche magari semplificando le procedure, vista l’emergenza, e fare in modo che a settembre ci siano non soltanto quei 50.000 precari di ruolo, ma che ci sia la possibilità di investire di più su un nuovo percorso di arruolamento nelle scuole, perché ci si è resi conto di quanto sia importante una scuola che funzioni e che sia diffusa sul territorio.
Noi scopriamo, anche con la didattica a distanza, che non sempre è possibile farla in maniera efficiente lì dove non ci sono gli insegnanti formati, dove non c’è l’infrastruttura adeguata, dove le scuole o le famiglie non hanno accesso alla banda larga, così come avviene invece in altre parti del Paese. Dobbiamo tenere questo in considerazione. Sulla base della possibilità che dovremo convivere con il virus negli anni a venire e che le logiche del distanziamento sociale – ancorché in forma ridotta rispetto ad oggi – rimarranno parte del nostro modo di vivere per qualche tempo, sono assolutamente convinto che, a maggior ragione, tutte le riforme sulla riduzione del numero degli studenti nelle classi, sull’aumento dei plessi scolastici sul territorio (che vanno a salvaguardare, per esempio, le funzioni delle scuole nelle aree interne, dove molte stanno chiudendo per mancanza di studenti), ci offrano un’opportunità per creare reti di sistemi scolastici, per portare la scuola ovunque, per utilizzare al meglio le nuove tecnologie. Possiamo così fare in modo che anche i nostri territori non smettano di vivere, perché magari gli è stata tolta la scuola per mancanza di studenti, in un contesto scolastico dove le scuole soffrono purtroppo di sovraffollamento.
- In questi giorni si parla di scuola ma non si sente parlare dell’università. Cosa ne pensa e che misure dovrebbero essere prese?
Mi dispiace che non si parli di università, anche perché l’università e la ricerca in questo momento sono due realtà che possono non soltanto offrire un orizzonte di lungo termine, ma anche delle soluzioni e delle innovazioni per fronteggiare la crisi. Mi stupisce anche che dopo tutto il discorso fatto sull’importanza della ricerca e dei ricercatori, per esempio, non sia ancora stato nominato un Sottosegretario al Ministero dell’Università e della Ricerca. Io, invece, ritengo che questo sia il momento opportuno affinché il mondo universitario e degli enti pubblici di ricerca faccia sentire di più la propria voce, voglia essere coinvolto attraverso delle task force scientifiche all’interno dei palazzi del Governo, per cercare di trovare soluzioni a queste sfide.
Ecco, noi dobbiamo gestire un mondo complesso, non possiamo gestirlo con gli strumenti di ieri. E quindi, abbiamo bisogno della scienza che si rimbocchi le maniche insieme alla politica e possa influenzare le decisioni sulla base dell’evidenza scientifica, non sulla base dell’improvvisazione e del sentito dire. Purtroppo, nella mia esperienza di Governo, è spesso quest’altro modo di fare che ha la meglio.
- Secondo lei si ritornerà a scuola il 18 maggio? Condivide l’idea di una riapertura graduale del Paese ?
Io non so se si tornerà a scuola a maggio, sarà la scienza a dirlo. E’ importante, però, che il Governo dia un messaggio di strategia per un graduale chiamiamolo ritorno alla normalità, ma che non sia la normalità della vita che facevamo prima, bensì una nuova normalità che ci permette di costruire un’Italia migliore.
Bisogna avere una strategia che vada oltre il semplice conteggio delle morti e dei contagi, la ricerca di un picco.
Le persone hanno bisogno di sapere in che direzione andiamo, come intendiamo affrontare la sfida. Anche se gli si dice che non sappiamo tutto, e che quindi alcune di queste strategie potrebbero non funzionare, ma comunicare le strategie vuol dire aiutare le persone, i cittadini a capire che il Governo c’è e sta pensando, si sta attivando per trovare delle soluzioni. Il semplice conteggio delle morti e dei contagi è diventato un rituale rischioso anche dal punto di vista dell’ordine sociale. Secondo me è dunque importantissimo quello che si sta facendo sulla ricerca degli anticorpi, sull’analisi di un’eventuale immunità di chi è entrato in contatto con il virus e magari ha mostrato i sintomi, si è ammalato, o non li ha mostrati – i cosiddetti asintomatici.
Ben venga tutto questo, ben venga l’idea di un graduale ritorno ovviamente il cui ritmo verrà deciso dall’evidenza scientifica, ma le persone devono sapere che ci sono uffici, task force, team di ricercatori che in questo momento stanno lavorando ad una serie di progetti, ad una serie di visioni di quella che potrebbe essere la soluzione, che stanno costantemente fornendo e di cui si deve parlare nel dibattito pubblico.
- Cosa ne pensa dell’operato dell’Unione Europea?
Come dicevo all’inizio, l’Unione Europea è a un crocevia. O in questo momento cambia radicalmente, coglie questa occasione per un cambio radicale di principi, di parametri, di narrazione, di obbiettivi di sviluppo, o rischia di crollare. Rischia di diventare un impedimento alla realizzazione del benessere dei cittadini europei. Per esempio, vorrei sottolineare le recenti dimissioni del Presidente del Consiglio Europeo della Ricerca, il Prof. Mauro Ferrari. Dimissioni che arrivano neanche ad un anno e mezzo dalla nomina e che sono ovviamente sconcertanti, perché, da quello che si sa, il Prof. Ferrari si sarebbe dimesso perché il mondo della struttura istituzionale del Consiglio Europeo della Ricerca non ha accettato la sua proposta di mettere tutta la ricerca europea al servizio della sfida contro l’epidemia di Covid.
Perché? Perché magari mossa da altri interessi di parte. Ma davanti a questa sfida esistenziale è logico che la grande missione della ricerca non può essere altro che quella di realizzare un percorso di miglioramento della qualità della vita delle persone. Siamo di fronte ad una sfida epocale, il mondo della ricerca a livello istituzionale non può chiudere gli occhi e far finta che non sia successo nulla. Deve riorientarsi e mettere tutte le sue capacità al servizio del benessere collettivo. Se questo non avviene, è come avere una burocrazia che è sorda rispetto ai bisogni che cambiano della popolazione, e qui si rischia davvero di andare a sbattere contro un muro. L’Unione Europea deve dimostrare quella flessibilità e quella capacità di riorientare la sua grande macchina di intelligenza, di capacità di innovazione verso degli obbiettivi importanti e sensibili per il benessere delle persone.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
-
Cronaca3 anni ago
Da cameriere a camerata: il ristorante che serve fascismo
-
Cronaca3 anni ago
Sessismo e violenza nei social: il degrado che respirano le donne
-
Cittadini3 anni ago
Maxiprocesso: le persone e le storie. Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi
-
Cittadini3 anni ago
Gorgia, per intendere e comprendere la morale
-
Società4 anni ago
L’incomprensibile discorso di Diletta Leotta a Sanremo
-
Cittadini3 anni ago
Caro Pillon, tieni giù le mani dai bambini
-
Politica3 anni ago
L’on. Zan:” Invece che approvare la legge contro la discriminazione si continuano a proferire frasi omofobe e razziste”
-
Cittadini3 anni ago
La filosofia dell’attesa nel testo di “Costruire” di Niccolò Fabi