

Mondo
I morti invisibili di Rio
Era Settembre dello scorso anno quando Agatha Felix perde la vita a Rio. Complexo Alemão è un quartiere al centro delle battaglie fra le gang e la polizia.
Non è la prima volta. Così ci sentiamo in dovere di iniziare a raccontarvi un altro pezzo di storia, una storia buia ed amara.
Era Settembre dello scorso anno quando Agatha Felix perse la vita a soli 8 anni nella favela di Complexo Alemão a Rio. Fu colpita alla schiena da uno dei settanta proiettili sparati dalla polizia durante una retata, mentre rientrava a casa con la nonna. Complexo Alemão è un enorme agglomerato urbano povero, al centro delle battaglie quasi quotidiane fra le gang per il controllo del territorio, legate al narcotraffico, e la polizia.
La morte di Agatha fece in breve tempo il giro del mondo: migliaia di persone scesero in piazza, la notizia rimbalzò sui social media a tempo di record e per qualche giorno quella disperata quotidianità divenne meno invisibile.
Non una parola di cordoglio di Wilson Witzel, Governatore di Rio, accompagnò la tragedia, mentre una risposta di fuoco vendicava le morti di alcuni poliziotti, rimasti a loro volta coinvolti nella sparatoria. Un protocollo di sicurezza governativo, tra cecchini sugli elicotteri e tiro a segno dalle colline, che caratterizza da anni la politica di estrema destra a Rio, dove spesso ad essere calpestati sono proprio i diritti umani.
I continui episodi di rappresaglia non fanno altro che aumentare la disperazione della popolazione locale, schiacciata tra i trafficanti e le istituzioni. La violenza non si è mai fermata nelle favelas, nemmeno in piena emergenza sanitaria: un’altra terribile sparatoria, proprio pochi giorni fa, porta alla morte di dieci persone, non si conosce ancora il numero dei civili coinvolti. I corpi sono stati lasciati sulle strade, a testimonianza della brutalità dell’azione.

A raccontarci l’episodio è Marco Mapelli, laureato in Economics and Management of Government and International Organizations alla Bocconi, appassionato di diritti umani e, dopo un anno in Brasile tra studio e volontariato in alcune favelas di Rio, è rimasto in contatto con alcune Ong operanti sul territorio.
“Il narcotraffico in Brasile è un problema seriamente diffuso, dove operano gang criminali pesantemente armate. La risposta governativa tende, tuttavia, a portare ulteriore violenza in quelle zone, intervenendo con operazioni di polizia brutali e contro il rispetto di ogni diritto umano. Nell’operazione avvenuta tra venerdì e sabato scorso, sono state uccise dieci persone e i loro corpi sono stati abbandonati in strada. Secondo le testimonianze dei civili accorsi successivamente alla sparatoria, qualcuno era ancora vivo, ma non avendo ricevuto in tempo i soccorsi non ce l’ha fatta. Sono stati i residenti ad occuparsi dei cadaveri e a rimuoverli dalle strade. La situazione sembra ormai fuori controllo. Una guerra al narcotraffico spietata, quella del Governo di Rio de Janeiro che però, molto spesso, miete vittime innocenti.
L’operazione di pochi giorni fa è stata portata avanti dal BOPE (Batalhão de Operações Policiais Especiais, ovvero Battaglione per le operazioni speciali di polizia), un gruppo di intervento specializzato nella guerriglia urbana. Considerando la lotta al narcotraffico assolutamente doverosa, non si può tuttavia legittimare una strategia governativa che comporta la morte di circa mille persone all’anno in quelle zone. Inoltre, secondo un rapporto di un associazione che opera nella favela di Rocinha, il 25 % della popolazione non è in grado di rispettare le norme sanitarie e di distanziamento previste per il contenimento del Covid-19 perchè, oltre ad essere sprovvista dei dispositivi di protezione personale, spesso non ha nemmeno l’acqua corrente all’interno delle abitazioni. Dunque di fronte ad una popolazione stremata e impreparata ad affrontare l’emergenza sanitaria, abbiamo uno Stato che preferisce continuare senza tregua la guerra al narcotraffico.”- spiega Marco.
Seguiremo ulteriori sviluppi.
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