Politica
Democrazia e fine della storia
Crescita economica e democrazia spesso non vanno di pari passo: Cina e Corea del Sud ne sono un esempio.

Negli ultimi anni, il paradigma politico, economico e culturale occidentale si è sviluppato intorno all’idea di democrazia liberale come fine del processo dialettico storico, in cui libertà, crescita economica e benessere individuale e collettivo si congiungono nella superiore unità di questa forma di governo. La fine della storia sembra essere raggiunta e il futuro viene considerato come una inevitabile ripetizione di un presente non più perfettibile, avendo conquistato la sua completezza e coerenza. Il compito del vecchio mondo risiederebbe allora nell’esportazione e nella diffusione di questo percorso di progresso -ritenuto unico e insostituibile- verso i Paesi che ancora non hanno raggiunto lo “stadio positivo” della loro evoluzione, tramite gli strumenti della globalizzazione. Crescita economica, data dall’accesso al libero mercato, e democrazia sono considerati un sinolo inscindibile e il progredimento di una delle due istanze implicherebbe inevitabilmente anche la crescita dell’altra e viceversa.
Purtroppo, la realtà vissuta non è del tutto coerente con le aspettative teoriche. Infatti, si è dato per scontato che lo sviluppo conosciuto in Occidente dovesse per necessità avverarsi anche in Oriente e nei Paesi in via di sviluppo con le stesse modalità.
Globalizzazione e democrazia
Il fenomeno della globalizzazione non ha portato ad una diffusione capillare dei regimi democratici: il livello di democratizzazione nel mondo è aumentato fino agli anni Duemila, per poi subire una lenta regressione. Secondo il democracy index riferito al 2019, calcolato dal settimanale The Economist, solo il 5.7% della popolazione mondiale vive in democrazie complete e tra queste non rientra nemmeno l’Italia, considerata, secondo tale indice, una democrazia imperfetta. In generale, il valore medio dell’indice tra i 167 stati di cui si sono raccolti i dati è il più basso dal 2006, anno in cui sono iniziate le registrazioni. Inoltre, si stima che addirittura il 35,6% della popolazione mondiale viva in stati autoritari.
Corea del Sud e Cina
Alcuni esempi dimostrano infine come la crescita economica non sia necessariamente associata ad un aumento di diritti e libertà. La Corea del Sud è passata da un reddito pro-capite annuale di 79 dollari degli anni 60, a uno di 31.734 nel 2019, pur essendo governata per molti anni da una dittatura militare e avendo tutt’oggi un livello di democratizzazione non particolarmente elevato. In Cina, infine, si è assistito ad una rapida crescita economica tale da aver portato il Dragone a scalare le classifiche ad un ritmo sorprendente, fino a diventare la seconda economia mondiale.
Certamente sono state necessarie molteplici riforme, che a partire dal 1978 con Deng Xiaoping hanno introdotto elementi di libero mercato nel rigido paradigma socialista precedente, ma il regime comunista rimane tutt’oggi forte e l’ascesa di Xi Jimping ha ulteriormente rafforzato le prerogative statali, allontanando ancora di più il gigante asiatico da qualunque velleità democratica. L’inizio di una nuova guerra fredda contro gli Stati Uniti e la soppressione gratuita di libertà ad Hong Kong dimostrano la sicurezza che i quadri del partito nutrono verso il proprio modello di sviluppo.
In generale, dei 10 paesi con la più veloce crescita economica tra il 2012 e il 2016, ben 9 hanno un basso livello di democrazia.
Il valore della libertà
Progresso e sviluppo si stanno perciò dimostrando obiettivi accessibili anche a strumenti e percorsi non occidentali, ben lontani dai metodi libertari che hanno reso grande il Vecchio Mondo. Seppur non sia l’unica strada, la democrazia liberale è uno strumento funzionante, che l’Occidente deve a ragione mostrare nel mondo come paradigma vincente. La libertà non dovrebbe più essere considerata un mero mezzo di crescita, ma fine in se stessa, da diffondere in quanto intrinsecamente giusta.
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