Cultura
Terrorismo e Radicalizzazione
Vi propongo una specificazione di due termini oggi molto contemporanei “terrorismo” e “radicalizzazione”. Dopo l’11 Settembre sono diventate parole di uso comune e proprio per questo è necessario analizzarle nel dettaglio.

Negli articoli che ho scritto in questi mesi ho sempre voluto sottolineare l’importanza delle parole. Esse hanno un peso e un significato ben preciso ed è fondamentale saperle utilizzare nel contesto e nel momento giusto. Questo processo non è sempre automatico o semplice da attuare, ma è fondamentale soprattutto quando ci relazioniamo con il prossimo.
Quando noi ci confrontiamo con un altro individuo dobbiamo essere in grado di conoscere le parole che esterniamo in modo da far trapelare informazioni corrette. Ecco perché vi propongo una specificazione di due termini oggi molto contemporanei: “terrorismo” e “radicalizzazione”.
Terrorismo
“Sono molti i musulmani che vogliono il bene per l’umanità intera, e che per questo diventano i primi bersagli del terrorismo. Confondere i concetti è un delitto non minore di quelli degli estremisti”
Così disse Nadia Murad, premio Nobel per la pace nel 2018, per specificare il fatto che la parola “terrorismo”, in realtà, è un concetto di difficile interpretazione. Questa è una tematica che, di continuo, polarizza discussioni e approfondimenti.
Dal punto di vista letterale tale termine significa temere, intimorire, spaventare che genera, dunque, sentimenti di panico, paura e terrore. In età moderna, questo termine venne associato all’atteggiamento criminale e violento di singoli o gruppi d’individui, i quali misero in atto azioni contro un potere definito come lo Stato o un qualsiasi potere legittimamente costituito che amministri un determinato territorio.
Da questa affermazione si può ricavare una visione duale del concetto di terrorismo.
- Da una parte l’idea secondo la quale i terroristi sono avversari da combattere in ogni modo, combatte su un determinato territorio, autoproclamandosi come mezzo unico di liberazione contro quel potere costituito definito come nemico e oppressore;
- da un’altra ottica si tratterebbe di conflitti con finalità politiche o religiose.
Il sentimento di paura è il pilastro sul quale poggia l’azione terroristica, attraverso il quale i terroristi si servono per portare avanti i loro piani e costringere gli Stati a piegarsi e scendere a patti. In sintesi, può essere definito come l’opposto della guerra, perché, se il processo che definisce la guerra è il combattimento, al contrario l’essenza del terrorismo è la negazione del combattimento. I suoi obiettivi sono aggrediti in modo da inibire l’autodifesa. Non solo, spesso gli obiettivi stessi non sono selezionati, ma sono causali, e questa è la caratteristica che segna il terrorismo nel pensiero collettivo. Questa casualità nel colpire le vittime, d’altronde, è l’ingrediente fondamentale del processo psicologico del terrore.
Inoltre, una delle difficoltà maggiori che s’incontra quando si ha a che fare con la nozione di terrorismo è la diversa prospettiva in cui l’osservatore neutro si colloca per coglierne il significato. Infatti, il concetto implica un giudizio morale.
Definire cosa sia il terrorismo è meno difficile se si fa riferimento a forme interne allo Stato, che mirano cioè all’eversione di un singolo ordinamento: in questo senso, il parametro è rappresentato da quei soggetti o organizzazioni che in un determinato momento storico esercitano una minaccia qualificata per lo Stato.
Sul piano internazionale invece avviene l’opposto, in quanto non esiste un’univoca visione di chi si possa considerare un terrorista e chi no. Tutto ciò di fatto ha indotto tanti a ritenere che la nozione di terrorismo detenga un significato inevitabilmente soggettivo, ovvero quello che viene definito come terrorismo dipende dal punto di vista di ciascuno.
In conseguenza di ciò, scegliere l’etichetta di terrorista o di combattente per la libertà dipende soprattutto dal punto di vista dal quale l’osservatore si pone ad osservare. Solo nel 1994 si è arrivati a una definizione comune di nozione di terrorismo internazionale, in occasione della risoluzione 49/60 dell’assemblea generale dell’ONU. L’articolo 3 di tale risoluzione sancisce che:
“Gli atti criminosi volti a provocare uno stato di terrore tra la popolazione, un gruppo di persone o determinate persone per fini politici sono, in ogni circostanza, ingiustificabili, quali che siano le considerazioni politiche, filosofiche, ideologiche, razziali, etniche, religiose o di altro tipo che possano essere invocate per giustificarli”
In questo modo è possibile fare una classificazione o divisione del termine:
- Il terrorismo interno di stampo nazionalista o politico, i cui esempi classici sono le organizzazioni nazionali come, l’IRA in Irlanda del Nord, l’ETA dei paesi baschi, l’OLP in Palestina e in Italia le BR;
- Il terrorismo transnazionale, di stampo islamista, a partire dal secondo dopoguerra, che ha visto come teatro principale i territori mediorientali;
Come sosteneva Walter Benjamin, la violenza esercitata dalle azioni terroristiche, si colloca, nel regno dei mezzi e non in quello dei fini. I gruppi terroristici, si configurano quindi, come comunità politiche in guerra, per realizzare fini simbolici. La guerra è finalizzata alla nuova società, con un’inversione di senso rispetto alla società che si organizza per la guerra.
Inoltre, La pericolosità dei terroristi è data proprio dall’investitura di sacralità e dalla loro azione, che li rende pronti a tutto per la causa. I gruppi di tipo militante conosciuti su un panorama globale, come Hamas, Hezbollah, Jihad Islamica, e successivamente AL QAEDA, orientano il proprio operato alla radicalizzazione di un modello sociale delineato in base al messaggio originale dell’Islam. Per seguire questo scopo non esitano nel corso degli anni a ricorrere a metodi violenti, diventando i simboli del terrorismo per eccellenza.
Tali gruppi, appoggiati e finanziati talvolta da Stati conniventi e da facoltosi esponenti del mondo islamico si fondano su un’articolazione complessa e gerarchizzata e basano la propria strategia di azione sulla pianificazione accurata delle fasi operative. La caratteristica principale di questa organizzazione è la creazione, in diversi Paesi Musulmani ma soprattutto nel Pakistan settentrionale, nello Yemen e in Afghanistan, di vere e proprie basi per l’addestramento delle reclute terroriste.
Radicalizzazione
La nozione di “radicalizzazione” descrive il processo mediante il quale un individuo o un gruppo di individui mette in atto forme violente d’azione legate a una ideologia estremista di contenuto politico, sociale o religioso. Nell’uso comune il termine “radicalizzazione” è diventato un sostantivo del terrorismo, ma in realtà, contrariamente a quest’ultimo, risente in misura minore di una certa, intrinseca, ambiguità semantica tipica del termine.
Un campo di osservazione per quanto riguarda il fenomeno della radicalizzazione sono stati gli istituti penitenziari soprattutto in connessione ai detenuti di fede islamica. A questo proposito diversi sociologi come Daniele Pulino, Alvise Sbraccia e Valeria Verdolini producono una descrizione degli adattamenti che il sistema penitenziario italiano ha prodotto in relazione all’emersione e alla stabilizzazione del tema della radicalizzazione all’interno delle carceri italiane.
Gli studi sulla radicalizzazione cercano di mettere in risalto le dimensioni soggettive, identitarie, psichiche, che conducono gli individui a quel tipo di militanza, nell’intento di giungere ad una piena comprensione dell’atteggiamento e delle motivazioni degli individui che aderiscono a una ideologia, e a un gruppo, che legittimano e praticano la violenza.
Perché ci sia radicalizzazione occorre che una serie di fatti e fenomeni sociali legati tra loro, o interpretatati come tali, produca un mutamento che investe progressivamente l’individuo.
La radicalizzazione ha un carattere processuale, infatti non si manifesta improvvisamente. In altre parole possiamo dire che essa avviene quando un percorso personale interagisce con un ambiente favorevole e una particolare contingenza storico-politica.
Il termine radicalizzazione è mutabile a seconda del luogo e può variare nel tempo. In questo senso, una delle definizioni più appropriate su questo termine è stata fornita da Charles Allen:
“Il processo attraverso il quale si adotta un sistema di valori estremista, inclusa la volontà di usare, supportare o facilitare la violenza come metodo per il cambiamento sociale”
Gli studiosi hanno suddiviso il significato di radicalizzazione tra quella cognitiva e quella violenta.
- Cognitiva, cioè come un processo attraverso il quale un determinato soggetto utilizza idee che sono completamente al di fuori di ciò che può essere definito “normale”, e rifiuta la legittimità dell’ordine sociale corrente e cerca di cambiarlo con una nuova ideologia basata su un insieme di valori marcatamente diversi.
- violenta, che si sviluppa, invece, secondo la nozione di C. Allen, nel momento in cui un determinato soggetto compie quel passo in avanti, utilizzando metodi violenti, per arrivare a far avanzare la causa ricavata dalla propria radicalizzazione cognitiva. Questa particolare definizione di radicalizzazione, tuttavia non coglie tutti gli interrogativi legati al suo significato.
Non ultimo è da evidenziare come la radicalizzazione si possa applicare a svariate ideologie. bisogna essere consci che, soprattutto in Italia, ma anche in tutti in Paesi europei, la radicalizzazione è riconducibile agli estremismi di destra e di sinistra, al nazionalismo e al separatismo etnico, come pure all’estremismo animalista e ad altre forme di estremismo.
Dunque, definire la radicalizzazione non è facile perché è un processo complicato che coinvolge molteplici aspetti, e che presenta una certa complessità in relazione alle varie fasi e ai vari fattori condizionanti.
Radicalismo
Parlare oggi di termini quali radicalismo, radicalizzazione e terrorismo, significa innanzitutto fare una precisazione sul significato di ciascuno di questi termini.
L’enciclopedia Treccani definisce il radicalismo come un atteggiamento o un programma radicale, di tipo intransigente, sia nel campo politico che in quello sociale o più genericamente come un atteggiamento individuale di chi vuole risolvere una questione senza mezzi termini e compromessi. All’interno di un quadro politico, il radicalismo viene inteso formalmente in antitesi ai conservatori, volti a preservare gli equilibri e i privilegi acquisiti. I radicali si battono in questo senso, dunque, per una trasformazione dello Stato in maniera democratica. Ciò non significa che il termine abbia sempre un’accezione positiva: nelle sue varie forme e interpretazioni assumerà un senso estremo, non sempre concepito con forme democratiche o pacifiche.
Quando si parla di radicalismo in associazione con il terrorismo può essere utile operare il confronto fra l’azione di gruppi come le BR, durante gli anni di piombo,con un gruppo terroristico dei giorni nostri come l’ISIS. È possibile notare ad esempio come, in entrambi i casi, tali gruppi siano composti da adolescenti e giovani.
In aggiunta a quanto detto finora, il radicalismo, nella sua visione più generale, può anche essere definito come una corrente di pensiero, la quale, con l’accostarsi del fattore religioso, diventa uno stile diffuso, una vera e propria condotta di natura politica, basandosi su una tradizione religiosa propria, auspica e cerca di costituire una forma di governo propria, in nome di una volontà divina (Dio). In questo senso il termine è strettamente connesso alla politicizzazione della religione.
Questo concetto nel mondo islamico, è un movimento di matrice politico- religiosa che fa della “militanza per fede” la caratteristica essenziale della propria esperienza. L’islam è visto come un combattimento non solo morale e spirituale, ma anche di tipo militare e missionario; o per meglio dire, ancor più militare proprio per il suo senso missionario. Per chi si definisce radicale, in questo senso, è la stessa natura della religione che spinge il movimento islamico alla jihad.
In sostanza, il radicalismo è visto quasi come uno strumento magico, un’“inversione”, che tramuta il proprio disprezzo di sé verso gli altri, e in un certo modo sacralizza l’odio. È uno strumento che, per quanto deviante in senso negativo, permette di trovare una sorta di vero e proprio eroe negativo e il riconoscimento di cui si sentiva il bisogno.
Per la stesura di questo articolo ringrazio l’amico e collega Antonio Dore per avermi fornito le informazioni necessarie per affrontare questa tematica.
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