

Ambiente
Eco-Migrazioni: Somalia docet
La Somalia ci insegna che le catastrofi naturali e l’assenza di politiche attente porteranno a una crescita di migranti climatici: attenzione ai numeri.
Il caso della Somalia, uno dei paesi più importanti del Corno d’Africa è lungimirante su diversi punti. I terroristi di Al Shabab che hanno contrattato per la liberazione di Silvia Romano vengono dalla Somalia. Circa 10.000 risiedono in Italia: nel 2013, l’anno dei grandi sbarchi, la Somalia era il terzo Paese di provenienza degli sbarchi.
Questo Stato ha avuto da sempre grandi problemi a trovare un’autonomia politica in grado di portare il Paese al progresso. Più della metà della popolazione vive sotto la soglia minima di povertà ed i problemi interni sono davvero critici. La Somalia racchiude al suo interno diversi dissidi di carattere politico e militare ma negli ultimi anni la crisi più grande è quella climatica.
Le inondazioni
Negli ultimi nove mesi ci sono state circa tre grandi inondazioni che hanno distrutto circa 30 mila ettari coltivabili. Un disastro umanitario che ha portato circa 150.000 bambini e famiglie a fuggire. Nasce così un rischio di malnutrizione dovuto ai mancati mezzi di sostentamento di migliaia di famiglie a causa del crollo di produzione alimentare. Inoltre come fa notare Save the Children, le grandi alluvioni aumentano il rischio di malaria.
Le invasioni di cavallette e locuste e il Covid-19

Sempre in Somalia sta accadendo la peggiore invasione di locuste degli ultimi 25 anni rovinando circa 70.000 ettari coltivabili. Questo ha portato a un grande sovraffollamento e a una maggior rischio di contrarre il Corona Virus. Sono circa 300 mila gli sfollati interni nell’ultimo anno: i campi dove sostano sono spesso privi di servizi e assistenza sanitaria. I diritti all’acqua, a un alloggio umano, a servizi igienico sanitari e non solo, non vengono rispettati né dalle autorità interne, né da particolari attenzioni e sorveglianza internazionale.
Gli Internally displaced people (IDPs) come vengono definiti dal diritto internazionale, sono oltre 2 milioni e mezzo e subiscono spesso sfratti, violenze e torture da parte di gruppi armati. In particolare donne e bambini sono più marginalizzati ed esposti ad abusi in quanto più vulnerabili.
”Rifugiato climatico”

Non esiste, questo termine nella prassi del diritto internazionale, i media spesso lo utilizzano, ma la valenza non è ancora attiva. Dovrà sicuramente diventarla entro il 2050 poiché si prospetta che in quell’anno ci saranno tra i 200 e i 250 milioni di rifugiati per motivi climatici. I Paesi maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici sono quelli della fascia sub-sahariana, Pakistan, Bangladesh, India, Nepal, le isole dell’ Oceano Indiano e Pacifico, il Sahel e il nord Africa, sono solo alcuni territori.
E’ logico pensare che non sia possibile rimpatriare persone che fuggono da catastrofi naturali, è logico pensare che non sia possibile ristabilire il ciclo dell’ordine delle cose. Quello che si può fare è accogliere, è cambiare le politiche nazionali e internazionali per cercare di cambiare l’incessante peso del Climate changing mondiale. Esiste la possibilità di ridurre le probabilità negative di questi futuri diritti mancati, prima che sia troppo tardi. La storia dell’umanità ha attraversato diverse fasi di evoluzioni e involuzioni date dai cambiamenti climatici naturali, ma ora, stiamo vivendo cambiamenti climatici forzati, causati dall’incessante opera dell’uomo incosciente del futuro che aspetta le prossime generazioni.
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