Cultura
L’Empire à la fin de la décadence
Dècadent è un termine coniato nell’ottocento che allude alla diversità, al vuoto interiore ed alla riflessione: è adattabile ad oggi?

“Io sono l’Impero alla fine della decadenza,
Che guarda passare i grandi Barbari bianchi
Mentre compone indolenti acrostici aurei
In cui danza il languore del sole.
L’anima solitaria soffre d’un denso tedio,
Laggiù, si dice, stanno battaglie lunghe e cruente.
Oh, non potervi, così debole nelle mie lente voglie,
Oh, non volervi fiorire un po’ quest’esistenza!
Oh, non volervi, non potervi un po’ morire!
Ah, tutto è bevuto! Bathylle, hai finito di ridere?
Ah, tutto è bevuto, tutto mangiato! Più niente da dire!
Solo, una poesia un po’ sciocca da gettare nel fuoco,
Solo, uno schiavo un po’ frivolo che vi trascura,
Solo, una noia di chissà cosa che vi affligge!”
Qui abbiamo “Languore” di Paul Verlaine, componimento tratto dalla raccolta Cose lontane, cose recenti (1884). Poeta maledetto francese, Verlaine è uno dei massimi esponenti del movimento dei Decadentisti.
Paragrafo dell’arricchimento culturale: il decadentismo è una corrente artistica e culturale nata e sviluppatosi in Europa a partire dalla seconda metà dell’ottocento, quindi in piena seconda rivoluzione industriale, e protrattosi fino agli inizi del Novecento. Questo termine deriva dalla parola francese décadent, utilizzato per la prima volta all’interno di questa poesia, ed è caratterizzato dallo spirito di ribellione che i cosiddetti “poeti maledetti” (di cui faceva parte anche Paul) adottavano nei confronti della borghesia, la classe emergente in quegli anni, e soprattutto dal nuovo modello di pensiero che si stava diffondendo in quel periodo: diversità e riflessione erano nell’aria.
Cosa facevano i poeti decadenti, cosiddetti maledetti? Senso di vuoto ed inadeguatezza erano pane quotidiano, “l’impero alla fine della decadenza” dice Verlaine nel primo verso: il bel tempo è passato ed ormai non c’è più spirito di cambiamento e di rivoluzione, le industrie e la nebbia fitta prendono piede e tutto sembra statico mentre i “Barbari bianchi”, allegoria dei lavoratori e pendolari, passano di fronte al tavolo di quel cafè sporco di oppio, gocce di barbon e shot svuotati in poche ore.

Cosa cerca di dirci Verlaine? Tutto è uguale, statico, desaturato ed impoverito. L’inadeguatezza regna sovrana e l’unica cosa che dona un briciolo di brio in quelle giornate sono le espressioni inorridite dei bigotti borghesi di fronte ad un superalcolico o una relazione scandalosa e “contro natura”. E’ tanto diverso dalla realtà che stiamo vivendo?
Non c’è più niente, siamo assediati da una routine morta ed attaccati dalla monotonia che contraddistingue le giornate. Lo spirito d’inadeguatezza ed il desiderio che contraddistingueva i poeti maledetti è ancora vivo ed acceso nonostante lo stacco di duecento anni e ci sentiamo come incompresi, sbagliati e confusi di fronte agli enigmi della natura ed allo stesso tempo impulsi analitici ci spingono a risolverli.
Ciò che ci diceva Verlaine all’interno di “Languore” è perfettamente adattabile al nostro tempo e questo dovrebbe spingere ad una riflessione profonda: la poesia trasmette angoscia, vuotezza con la sua evidente denuncia alla società.
Languore significa malessere.
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