Cronaca
La vignetta della settimana #7
Chi è la Eddi sottoposta al regime di sorveglianza speciale? Perché è stata definita “socialmente pericolosa”?

Il 17 marzo 2020 a Maria Edgarda Marcucci, ‘Eddi’, viene sottoposta a “sorveglianza speciale”, ovvero limitazioni sulla vita che arrivano a non permetterle di lasciare la città, vedere più di 5 persone contemporaneamente, quindi non poter andare in luoghi affollati come bar e supermercati, tornare a casa prima delle 21 e non poter uscire fino alle 7 (mentre a Paolo Andolina e Jacopo Bindi, anche loro ex combattenti, il tribunale ha respinto le restrizioni).
Per farla davvero brevissima, Eddi è una ragazza di Torino che nel 2017 decide di andare nel nord della Siria con una delegazione civile per fare reportage, ma arrivata lì finisce per arruolarsi nelle YPJ, l’Unità militare di Protezione delle Donne, la brigata femminile dell’Unità di Protezione Popolare (YPG). Nel Rojava una federazione di regioni era riuscita, infatti, ad istituire (secondo una Costituzione) un’amministrazione, apparentemente utopica, ma che funzionava davvero: ambizione alla democrazia diretta, sostenibilità ambientale, libertà di religione e di pensiero, uguaglianza tra i generi. Le milizie popolari si occupavano di proteggere questa oasi dagli attacchi dell’Isis e Turchi. È di fronte a questo che Eddi si ritrova:
“Ma tu come fai a guardarti allo specchio se è anche la tua battaglia ma la sta combattendo qualcun altro?”
Da marzo Eddi è “socialmente pericolosa”, l’accusa più grande sembra “Hanno appreso l’uso delle armi e quindi […]” potrebbero utilizzarle anche in Italia. La risposta di Eddi già palesa la questione: “Se io penso alla mia esperienza è l’ultima cosa che mi viene in mente l’assemblaggio meccanico del fucile (e tanto meno serviva andare in Kurdistan per impararlo)”. Ma nella puntata nella quale è ospite nel podcast “Tutte le ragazze avanti” specifica che qui facciamo fatica a superare il paradigma “il fine giustifica i mezzi”: o li giustifica, oppure no.

Nella sua esperienza è riuscita ad andare oltre: “I mezzi contengono il fine, tu non puoi pensare di combattere nello stesso modo del tuo nemico e ottenere un risultato diverso”. Il risultato è la guerra, che è orribile, senza sconti, è solo dolore. Allora Come si fa a resistere? Non è la dotazione bellica che fa la differenza, la differenza è il quadro etico: come lo fai e perché lo fai.
Ed è sotto gli occhi del mondo perché si stia combattendo in Rojava, un ossimoro già noto: la guerra per la pace. La pace sociale, culturale, ecologica, religiosa, femminile. Grazie a quest’idea quelle armi non sono più armi ma strumenti, mezzi che contengono il fine, guerra che coesiste con la pace.
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