Cronaca
La tragica fine di un ricercatore senza limiti e confini
Dopo cinque lunghissimi anni le 94 pagine d’inchiesta danno luce ad una tragica vicenda che per troppo tempo è stata inghiottita in un vortice di oscurità. Giulio Regeni prima dell’omicidio è stato torturato e i suoi carnefici sono degli agenti 007 della National sicurity.

Dopo cinque lunghissimi anni di indagini finalmente conosciamo i nomi dei responsabili – o forse è meglio chiamarli “carnefici” – del sequestro, delle abominevoli torture e dell’omicidio perpetrato ai danni di un giovane ragazzo: Giulio Regeni.
Le 94 pagine di indagine condotte dal Procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco ci riportano la verità sugli ultimi terrificanti giorni di vita di un ragazzo italiano che, come unica colpa, aveva quella di essere uno studente che viveva in un mondo senza confini.
Chi era Giulio?

Giulio Regeni lavorava presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, un’agenzia che si occupa dell’incremento delle attività industriali che si trovano nei paesi membri. Dopo delle ricerche svolte per conto della società privata di analisi politiche Oxford Analytica, si reca in Egitto dove intraprende un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge iniziando una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana del Cairo.
Attraverso il suo pseudonimo, Antonio Druis, Giulio scriveva una serie di articoli molto interessanti perché incentrati sulla drammatica situazione sindacale egiziana dopo la rivoluzione del 2011. Tali articoli verranno poi pubblicati dall’agenzia di stampa Nena e nel quotidiano il Manifesto. Uno studente famelico di conoscenza, un giovane amante di un mondo privo di confini, di muri e di limiti, questo era Giulio Regeni.
#Whereisgiulio

Sono le 19:41 di un qualunque 25 Gennaio, quando Giulio decide di vivere una giornata tranquilla in compagnia di giovani amici che si danno appuntamento in piazza Tahir per festeggiare un compleanno, con la spensieratezza che caratterizza qualsiasi persona di quella età.
Ma qualcosa va storto perché Giulio, dopo aver mandato un messaggio alla fidanzata, viene inghiottito in un vortice di oscurità che desta il primo allarme della collega Noura Wahby, conosciuta nel 2014 a Cambridge, che nella preoccupazione dell’incognita denuncia sul proprio profilo Facebook la sua scomparsa.
Da questo momento in poi inizia la corsa a squarciare il velo dell’oblio e, per questo, sui social si diffonde un hastag che al suo interno racchiude tutta l’angoscia di chi teme che le sorti di quel ricercatore siano diventate più oscure dell’oscurità, #whereisgiulio ?
Il caso

Dopo lunghissimi cinque anni di ricerche, indagini e depistaggi da parte della politica e della magistratura del Cairo, le 94 pagine d’inchiesta del Procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco documentano il luogo e le circostanze che hanno portato alla morte di Giulio Regeni.
I responsabili delle torture e dell’omicidio del giovane ricercatore sono quattro ufficiali della National Security agency: Sabir Tariq, Ibrhaim Kamel Athar, Helmy Uhsam; Sharif Abdelal Maghdi.
A dare la svolta sono stati i racconti di cinque testimoni che oggi si trovano in località protette con una identità secretata dalla procura attraverso i nomi Alfa, Beta, Gamma, Delta ed Epsilon:
Alfa e Beta riportano lo sfogo dell’inquilino di Giulio, l’avvocato ed ex informatore per la National Security, El Sayad. Infatti, secondo i due testimoni, quest’ultimo avrebbe permesso la perquisizione dell’appartamento quando il ricercatore non c’era. El Sayad si scambiò il contatto telefonico con l’ufficiale che tornò nel palazzo almeno altre due volte.
Gamma ci riporta invece un altro particolare. Le indagini su Giulio vengono condotte dal maggiore Sharif. L’arabo aveva parlato di un ragazzo ricercatore italiano che voleva sollevare una rivoluzione in Egitto e, siccome avevano sentito dalle intercettazioni che il giovane si sarebbe recato ad una festa di compleanno, decisero di fermarlo prima che raggiungesse il ristorante e proprio lì lo avrebbero colpito.

Ma le testimonianze fondamentali per inchiodare il responsabile di questa tragedia, il National security, sono quelle di Delta ed Epsilon. Il primo di questi due testimoni, la sera del 25 gennaio 2016, si trovava nella stazione di polizia di Dokki quando è arrivata una persona che, esprimendosi in italiano, chiedeva di poter parlare con un avvocato o con il suo consolato. Tale ragazzo, sempre secondo Delta, era circondato da quattro uomini e quando uno di loro inizia una conversazione telefonica, riesce a sentire distintamente i nomi: Mohamed e Sharif.
Giulio non rimarrà a lungo nella caserma di Dokki perché, dopo essere stato bendato, verrà fatto salire in un’auto modello “Shain” e condotto a Lazoughly. Ed è proprio in questo luogo che, secondo Epsilon, si trovava lo studente italiano nei giorni successivi. Si tratta di un palazzo che si trova all’interno della sede del ministero dell’interno in cui si trova una stanza con il numero 13: una camera di tortura.
Quel che emerge nel 415 bis è che per nove lunghissimi giorni il ricercatore friulano è stato martoriato con oggetti roventi, bastoni e lame prima di vedere nell’oscurità dell’atrocità la luce corrispondente alla fine di ogni sofferenza.
Qualsiasi persona straniera sospettata di svolgere un’attività criminale contro la sicurezza nazionale, viene portata lì, ed è proprio in quelle quattro mura di torture medievali che, il 28 o il 29 gennaio, Epsilon si trova di fronte un prigioniero mezzo nudo nella parte superiore del corpo e con evidenti segni di tortura. Delirava il ragazzo, blaterava qualche parola nella sua madre lingua mentre era riverso supino per terra con la schiena arrossata: quella persona era Giulio Regeni.
L’omicidio di Regeni, dunque, fu un atto volontario e autonomo

Ci sono però altri punti oscuri in questa triste vicenda. La professoressa di Cambridge ha riversato tutto il suo sfogo in una mail in cui annunciava tristemente: “l’ho mandato a morire”. Ma i pm di Roma insistono sul fatto che tale professoressa non avesse collaborato nello svolgimento delle indagini, anzi, le ha palesemente ostacolate.
In pratica Giulio è stato spinto verso l’orrore che ha subito dalle persone di cui si fidava di più: gli amici del Cairo che, come abbiamo visto, lo hanno venduto alla National Security, e la professoressa Maha Abdelrahman che non ha protetto il ragazzo come avrebbe dovuto e, dopo l’omicidio, ha mentito non collaborando per mettere luce a un fatto inghiottito nell’oscurità.
La procura italiana sottolinea la “leggerezza” con qui questa donna ha gestito il dottorando di Regeni infatti, in un primo momento, la professoressa aveva mentito perché aveva affermato che fosse stato Giulio ad aver scelto il tema di analisi del suo dottorato quando, in realtà, l’aveva subito, cioè si era adeguato a quello che gli aveva indicato la tutor. Questo si denota da una mail mandata da Giulio alla sua professoressa in cui faceva presente le sue perplessità sulle tematiche oggetto di studio perché potevano essere “fastidiose” per le istituzioni egiziane.
Riscontriamo le preoccupazioni di Giulio anche in una chat con un suo amico in cui palesemente appare preoccupato perché: <<basta poco>> dice occorre <<andar con i piedi di piombo>>.
Diplomazia e giustizia

Quanto rilevato dalle indagini, il luogo del delitto ossia la stanza numero 13 e i carnefici la National Security, non lascia spazio a molte alternative sul piano politico e diplomatico. Quali decisioni dovrà prendere il nostro governo e per quali ragioni? Come si deve reagire di fronte ai continui depistaggi da parte della giustizia del Cairo? A tal scopo, vi riporto alcuni articoli chiave della Dichiarazione universale dei diritti umani, così potete meglio comprendere quante violazioni ha dovuto subire il povero Giulio Regeni.
Articolo 1: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 3: Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. Articolo 4: Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
Articolo 5: Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.
Articolo 7: Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.
Articolo 19: Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Articolo 22: Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

Articolo 26 comma 2: L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
Articolo 28: Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati.
Articolo 30: Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati.
Perché accettiamo che i diritti umani vengano calpestati?

Pensare che il mancato rispetto dei diritti umani da parte dell’Egitto non sia una motivazione sufficiente per porre in discussione l’amicizia, gli interessi economici e geo- strategici tra i due paesi, o meglio tra l’Egitto e l’Europa, oppure utilizzare contro l’offesa egiziana gli strumenti diplomatici necessari a difendere quei diritti che la nostra stessa costituzione contempla.
È anche vero che le pressioni di un singolo Paese, in questo caso l’Italia, possono non essere sufficienti davanti ad un regime sostenuto dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati. Servirebbe un impegno dell’UE che però nei fatti manca. Di questo ne siamo certi soprattutto dopo che il Presidente francese Macron ha appuntato sul petto del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi la legione d’onore.
Allora, la domanda che ci poniamo noi giovani europei, studiosi e visionari di un mondo senza confini, sorge spontanea: perché sprecare parole per tutelare dei diritti che nei fatti non esistono? Perché un giovane ragazzo deve rischiare di morire e, ancor peggio, soffrire dilaniato con delle torture medievali solamente per la sua fame di cultura?
Sono i giovani ad essere troppo ingenui nel credere che il mondo possa cambiare? O sono le istituzioni che ci rappresentano ad essere troppo deboli per mettere in pratica i diritti umani che dovrebbe essere la base di ogni civiltà progredita?
Intanto che ci poniamo queste domande altri ragazzi, come Patrick Zaki, stanno vivendo l’inferno di Regeni e noi non vogliamo che questa tragica vicenda si ripeta.
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