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Cultura

Il “nuovo fascismo” consumistico di Pasolini

Chi era Pier Paolo Pasolini? Qual è stata l’eredità che ci ha lasciato e soprattutto perché parla di “nuovo fascismo” riferendosi al consumismo?

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«Perché il vecchio fascismo, sia pure attraverso la degenerazione retorica, distingueva: mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo».

pier paolo pasolini, scritti corsari, 1975

Pier Paolo Pasolini nasce nel 1922 a Bologna, da una famiglia “tipicamente rappresentativa della realtà italiana”. La figura di Pasolini era una figura pubblica, nota a tutti. Questo suo interesse per gli ultimi, per i ragazzi di borgata, per la cultura popolare e la sua omosessualità, che non nasconde, lo porta a scontrarsi più volte con la società. Persino quando fu trovato morto la stampa fece intendere che Pasolini era stato ucciso dalla sua omosessualità e dalle sue manie. La sua grandezza è sempre stata nel suo coraggio e nella sua forza libera e incontenibile.

Come intellettuale ci ha lasciato tantissimo. Un patrimonio poetico, letterario, cinematografico e giornalistico; esperienze artistiche e culturali accomunate dalla stessa ferocia con cui ha vissuto e da un interesse per il mondo degli ultimi, con una critica particolare nei confronti del consumismo capitalista e dell’omologazione di massa e uno sguardo lucido, a tratti cinico, sulla società contemporanea.

A partire dagli anni Sessanta in Italia inizia a prendere forma quella che verrà definita poi “società dei consumi”. Caratterizzata dal desiderio di comodità e dal consumo sconsiderato e spasmodico indotto dalla pubblicità e dai mezzi di comunicazione. Negli anni Settanta questa diventa sempre più una realtà, andando a livellare tutte quelle realtà suburbane che caratterizzavano l’Italia, tanto care a Pasolini. Si inizierà a parlare di: “nuovo fascismo”.

Perché “nuovo fascismo”?

Il concetto di fascismo è un concetto mutevole. Storicamente identifica un preciso periodo della storia italiana, ma il termine fascismo non richiama solo un regime, una dittatura, la privazione della libertà. Quello che Pasolini vuole comunicare con il termine “nuovo fascismo” è una sensazione di oppressione subdola, celata nei meandri della società, nel modo di pensare comune, nella banalità del vivere moderno, nella mancanza di alternative culturali, un’oppressione controllata da un potere anonimo e indistinto.

Le sue parole risuonano ancora oggi di un’attualità sconvolgente. Egli individua nella società dei consumi, già agli inizi degli anni settanta, il nuovo Potere dominante che uniforma la società, la rende schiava di nuovi dettami, non scritti, ma ugualmente, se non più, oppressivi di quelli del vecchio regime.

Nell’esporre questi concetti Pasolini non usa mezzi termini: «Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato “la società dei consumi”. Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. Ed invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo».

La riflessione di Pasolini prende il via da un preciso fatto storico, apparentemente insignificante, avvenuto nei primi anni Sessanta: a causa dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua hanno cominciato a scomparire le lucciole. Questo episodio, «fulmineo e folgorante», di cui Pasolini ci parla in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 1° febbraio 1975, segna storicamente e concretamente la distinzione tra un antico fascismo squadrista e violento e un Nuovo Fascismo, subdolo, infido, totalizzante. Ed estremamente difficile da identificare.

Perché è così terribilmente nocivo?

La conseguenza più immediata del neocapitalismo è l’omologazione, l’appiattimento morale e culturale. Il Consumismo di massa ha livellato inesorabilmente tutte le infinite realtà particolari che animavano il nostro paese, rendendo ogni comunità, ogni famiglia, ogni individuo, schiavi delle stesse cose. Inutili. I cosiddetti Beni Superflui. Essi ci rendono parte di un’unica comunità, molto più estesa e sicura delle piccole comunità rurali che esistevano prima. A patto però di abbandonare tutto ciò che di unico risiede in noi, tutto ciò che ci contraddistingue.

Quello che lancia Pasolini, pochi mesi prima di essere assassinato, è un allarme concitato a una società che sta perdendo, o forse ha già perso, la sua libertà. Pasolini vede una realtà sempre più corrotta dal materialismo, dall’accumulo di beni inutili. Una società in cui si distruggono relazioni parentali e di amicizia per innalzare l’idolo dell’individualismo e il mito del successo. Una vita svuotata dal suo senso intrinseco, afflitta dai mali dell’uomo consumatore e dall’edonismo più sfrenato.

La televisione

Questa feroce critica di Pasolini al sistema consumista e al totalitarismo massmediatico se al tempo poteva apparire un po’ forzata, oggi è più che mai attuale. Visto il dominio assoluto della società dell’immagine con la conseguente mercificazione totalizzante di tutti, o quasi, gli aspetti della vita. La televisione è finita con il diventare una vera e propria arma di distrazione di massa. Con la priorità assoluta data solamente all’intrattenimento e con l’utilizzo di un’informazione volutamente manipolata e plasmata, con il fine di condizionare le scelte dei fruitori.

La televisione è stata l’inizio del processo di omologazione. In tv vengono soppresse tutte le differenze culturali, di linguaggio, fisiche, di ideali. Viene mostrato un modello ideale, canonico, giusto. Il consumatore viene invogliato a diventare quel modello e tutto quello che circonda quella finta perfezione. Il boom economico e gli anni Ottanta hanno permesso a tutti di raggiungere questo ideale, alimentando nello stesso momento sentimenti di odio per il diverso, per il brutto, per tutto ciò che non è dentro gli schermi.

Abbiamo speranza?

Pasolini, Pietà – Roma, 2015

Con l’avvento di Internet e la globalizzazione, tutto il processo di omologazione ha raggiunto il suo apice. Adesso è impensabile pensare a qualcuno senza uno smartphone, o senza televisore. È come se non esistesse alternativa al sistema capitalista. Siamo ormai semplici automi il cui scopo è quello di continuare a comprare senza sosta. Siamo utili perché alimentiamo il sistema economico. Veniamo incentivati dal governo stesso a consumare piuttosto che a tutelarci.

Questo 2020 è stato un anno difficile, un anno fatto di privazioni, di dolore, spesso solitudine. Abbiamo capito l’importanza di stare insieme, il valore delle persone, i social ci hanno anche aiutato a restare in contatto. Siamo stati capaci di tanti sacrifici, e dobbiamo ancora tenere duro e restare uniti, come umanità. Questa riflessione di Pasolini spero possa far capire a tanti che sì l’individuo è importante, ma lo è quando sta con altri. Che lo scopo non è possedere, ma essere e vivere pienamente. La speranza c’è, perché nonostante ormai viviamo in questa società restiamo esseri umani, con mille diversità e particolarità che ci rendono unici e speciali.

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Nata nel 1999 a Siracusa, ad oggi studio Economia presso l'Università di Padova. Mi interesso di tematiche civili e sociali, ma soprattutto negli ultimi anni di ambiente e sostenibilità

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