Cronaca
Giulio, Patrick e Mario emblemi del nostro ingiusto silenzio
Tre ragazzi, tre nomi da non dimenticare che rappresentano come la concezione dei diritti umani cambia in base allo stato dove ci troviamo.

Tre ragazzi, tre storie che ci mostrano il silenzio lampante delle nostre istituzioni e la concezione diversa dei diritti umani a seconda dello stato in cui ci troviamo. Tre nomi che non bisogna dimenticare e in particolare, uno di loro, che possiamo ancora salvare.
Giulio Regeni

La vicenda di Giulio Regeni deve essere l’emblema di quella che dovrebbe essere, a mio parere, una delle richieste più forti delle giovani generazioni cioè quella che i confini del mondo siano sempre più flessibili e, soprattutto, che questi non siano muri eretti sulle diverse concezioni dei diritti umani.
Patrick Zaki

Patrick Zaki, ormai da più di un anno in carcere, è proprio il simbolo di quanto l’Egitto, invece, sia ormai terra di nessun diritto fondamentale: dove perfino la giustizia è sottomessa alla volontà dell’uomo forte al comando che rappresenta a pieno lo stato totalitario. È il concetto di stato discrezionale usato per il nazismo, ovvero, in modo sommario, quando il terzo potere è usato a discrezione dei singoli momenti e delle singole persone.
Noi Italiani, dal punto di vista istituzionale, non abbiamo ancora avuto il coraggio di forti azione diplomatiche che segnino un distacco da questo Stato sotto regime. L’azione più ignobile è la continua vendita di armi, che ogni tanto cerca di essere mascherata, con la quale non favoriamo altro che il mantenimento del sistema gerarchico-militare anche nella gestione della società civile, lo stesso che tiene sotto stretto controllo le persone come Patrick.
Mario Paciolla

Mario Paciolla era un giovane italiano in missione per l’Onu in Colombia, trovato morto lo scorso 15 luglio nella sua casa a San Vicente del Caguan. La seconda autopsia, svolta in Italia, ha trovato diverse complicazioni per lo stato in cui il corpo è arrivato nel nostro Paese. Anche questa storia ci riporta all’insicurezza internazionale ed al disinteresse della politica per questi avvenimenti. Le istituzioni, infatti, come i media in gran parte, non hanno fatto altro che silenzio.
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