Cultura
Dal trash al cringe: quanto ha influito l’inglese nella lingua italiana?
Negli ultimi anni sono in aumento i termini inglesi che sono entrati nel nostro linguaggio quotidiano, perché? Quali saranno le principali conseguenze?

Cosa direbbero alcune colonne portanti della nostra cultura come Alessandro Manzoni e Dante Alighieri? Quasi certamente si domanderebbero come mai gli italiani abbiano dimostrato una tolleranza e una permeabilità dell’idioma ad una più ampia accettazione degli anglicismi, tanto da mettere in luce una tendenza democratica dell’italiano al subingresso della lingua inglese.
Un atteggiamento diametralmente opposto è quello assunto dai francesi e dai tedeschi, i quali si sono dimostrati recalcitranti all’imponente ingerenza della lingua anglosassone. Ad oggi l’italiano è sicuramente una lingua in movimento, che è mutata insieme ai fenomeni sociali che si sono abbattuti impetuosamente nel nostro lessico.
Perché l’italiano muta?

Tutto ciò è il frutto di un’interferenza linguistica, ossia di una pressione che una lingua esercita su di un’altra. Un’onda che con il suo intenso e prolungato sciabordio ha provocato profondi cambiamenti nel nostro sistema linguistico, soprattutto quando questa forza impetuosa è sorretta dal predominio della lingua inglese sulle altre, godendo di un prestigio internazionale riversatosi anche in campo socio-econimico.
L’italiano è rimasto per secoli immutato, tutto ciò è dimostrato anche dal fatto che se ci approcciassimo alla lettura di un testo rinascimentale non incontreremo nessuna remora, saremo in grado di leggere quanto scritto con estrema facilità. Difatti neppure l’istituzione scolastica è riuscita davvero a stare al passo di un fenomeno che ha travolto il nostro lessico ma non la nostra sintassi, che al momento resta immutata. La trama tessuta dagli anglicismi è sempre più fitta e si espande nel nostro lessico giorno dopo giorno verso “l’itanglese”, cosi come definito da molteplici studiosi.
Un fenomeno che sembra essere destinato a non avere fine e radicarsi. La mutazione si è verificata da poco più di mezzo secolo specialmente dopo la seconda guerra mondiale. Complice il fenomeno della globalizzazione e dell’incisività dei mezzi di comunicazione che hanno creato una commistione anche tra le tendenze e gli stili di vita incidendo in modo particolare nel settore terziario.
Qual è stato il primo campo ad essersi anglicizzato?

I primi termini che ormai sono diventati anglicismi irrinunciabili appartengono alla sfera scientifico-economica. L’impatto più evidente si è avuto primariamente in ambito medico, in cui si sono innestati termini come “bypass”,“check-up”, “pacemaker” ecc., per poi espandersi anche in ambito informatico, basti pensare a termini come “computer” e “mouse”, espressione mai tradotta in italiano. Ed è proprio in quest’ultimo ambito, quello elettronico-informatico, che si evidenzia l’impermeabilità della lingua francese che non ha mai permesso l’ingresso della parola “computer” nel linguaggio corrente, restando fedeli al proprio idioma “ordinateur”.
L’influenza si è poi irradiata nell’ultimo ventennio anche nelle discipline economiche-finanziarie, negli studi sull’emigrazione, nel mondo della moda, dello sport, la musica e non da ultimo i social network che hanno inflitto la stoccata finale. Un ulteriore fattore che ha contribuito all’importazione copiosa di anglicismi è frutto dell’abulia dei traduttori che molto spesso in ambito tecnico-scientifico hanno mantenuto il termine nella lingua straniera, non riuscendo a coniare o individuare un corrispettivo nella nostra lingua.
L’accademia della Crusca a difesa della lingua italiana

E’ di tutta evidenza alla luce di quanto esposto finora che l’influenza della lingua inglese non si è svigorita, al contrario è diventa sempre più forte. Dinanzi a questa manifestazione c’è chi assurge il ruolo di garante nella difesa del nostro idioma, al fine di preservare l’eredità storico-culturale del patrimonio italiano. L’accademia della Crusca opera in tal senso, specialmente nella figura del rappresentante pro tempore Claudio Marazzini, nel tentativo di preservare la lingua italiana e contenere l’assorbimento degli anglicismi, in un’ottica di conservazione della tradizione, posizione peraltro condivisa da molti.
A corredare quanto finora esposto è l’analisi compiuta dall’Istat nel 2015 la quale ha messo in evidenza come il 60,1% della popolazione parla una lingua diversa dalla lingua madre su una popolazione di 6 anni e più. Questo incremento è dato anche dalla presenza sul territorio di persone di lingua madre straniera. Inoltre la conoscenza di una lingua straniera (in particolare l’inglese) è molto diffusa tra i giovani fino ai 34 anni tra i quali arriva all’80%, per scendere al 60% nelle persone tra i 45-54anni e diminuire vertiginosamente al 26,5% nelle persone con più di 65 anni.
Nel periodo che intercorre dal 2006 al 2015 le quote sono rimaste stabili, l’unico trend positivo che ha comportato un aumento della conoscenza delle lingue è individuabile nelle persone tra i 55-64 anni, raggiungendo il 52,1% rispetto al 2000 dove la percentuale era 34,8. Concludendo, è ipotizzabile che la conoscenza e la presenza della lingua inglese nel nostro territorio si tramuterà in un vero e proprio bilinguismo specialmente per le generazioni del futuro.
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