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Ambiente

Il “virus” dell’Ecomafia non si ferma: pubblicato il rapporto di Legambiente 2020

Nel 2019 i reati contro l’ambiente sono aumentati. Gli ecocriminali sono attivi in tutte le filiere: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici di animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili. Il business complessivo dell’ecomafia, 19,9 miliardi di euro per il solo 2019. Campania, Puglia, Sicilia e Calabria le regioni dove si commettono più reati ambientali.

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Il “virus” dell’ecomafia non si arresta né conosce crisi. Nel 2019 i reati contro l’ambiente sono aumentati: 34.648 quelli accertati, alla media di 4 ogni ora, con un incremento del +23.1% rispetto al 2018. Gli ecocriminali sono attivi in tutte le filiere: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici di animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili e alla distorsione dell’economia circolare.

Da capogiro il business complessivo dell’ecomafia, stimato in 19,9 miliardi di euro per il solo 2019. Dal 1995 a oggi ha toccato quota 419,2 miliardi. A spartirsi la torta, insieme ad imprenditori, funzionari e amministratori pubblici collusi, sono stati 371 clan (tre in più rispetto all’anno prima).

Campania, Puglia, Sicilia e Calabria le regioni dove si commettono più reati ambientali, mentre la Lombardia colleziona più arresti. Boom degli illeciti nel ciclo del cemento (11.484) che superano quelli contestati nel ciclo di rifiuti (9.527). Impennata anche dei reati contro la fauna (8.088) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). 

Cos’è l’ecomafia?

Ecomafia è un neologismo coniato da Legambiente. Il termine nasce a metà degli anni ’90, quando l’ambiente era considerato materia di puro intrattenimento, privo di peso per la politica. Nasce quando nelle redazioni dei giornali si parla di ragazzi minacciati per una riunione contro una discarica, di ritrovamenti di bidoni contenenti liquidi che provocano rossore agli occhi, di consiglieri comunali o assessori all’urbanistica di piccoli paesi del Sud minacciati. Notizie che però erano solo trafiletti, mentre oggi se ne parla nella cronaca e nelle pagine dell’economia. Ecomafia nasce dalla voglia di mettere insieme tutti quei tasselli in modo che non si possa far finta di non vedere.

Un neologismo d’effetto, un nome nuovo del vocabolario di giornalisti e magistrati per spiegare quello si era verificato e che si stava verificando. Per spiegare le immense fortune accumulate dai clan grazie all’abusivismo e ai continui condoni edilizi, il potere sempre crescente delle holding del calcestruzzo all’ombra dei nuovi appalti come Alta Velocità. Per spiegare i trafficanti di rifiuti che inquinavano i nostri territori e ingrassavano i loro portafogli grazie impunità del codice penale che ignorava la parola ambiente.

I primi reati che segnano il legame tra mafia e rifiuti sono stati accertati nel 1991: sei imprenditori ed amministratori vennero condannati per abuso di ufficio e corruzione, e assolti dal reato di associazione mafiosa. Il termine ecomafia in Italia appare per la prima volta nel 1994, in un documento pubblicato dall’associazione italiana Legambiente, intitolato Le ecomafie – il ruolo della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale. Nel 1997 venne pubblicato il primo Rapporto Ecomafia di Legambiente che da allora, ogni anno, fa il punto sulla situazione. Nel 1995 è stata istituita la “Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti”.

Il rapporto Ecomafia 2020

Il Rapporto Ecomafia 2020. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia rivela un quadro preoccupante sulle illegalità ambientali e sul ruolo che ricoprono le organizzazioni criminali, anche al Centro-Nord. Realizzato da Legambiente, con il sostegno di Cobat e Novamont, ha analizzato i dati frutto dell’intensa attività svolta da forze dell’ordine, Capitanerie di porto, magistratura, insieme al lavoro del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, nato dalla sinergia tra Ispra e Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

“I dati e le storie presentati in questa nuova edizione del rapporto Ecomafia 2020 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – rivelano che se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata. Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015 stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, perché le mafie in questo periodo di pandemia si stanno muovendo e sfruttano proprio la crisi economica e sociale per estendere ancora di più la loro presenza. Per questo è fondamentale completare il quadro normativo”

L’efficacia degli anticorpi 

Oltre alle denunce dei cittadini, alle attività svolte da forze dell’ordine, Capitanerie di porto e magistratura, si conferma la validità di provvedimenti legislativi, come la legge sugli ecoreati (68/2015) e quella contro il caporalato, la 199/2016. 

Con il primo provvedimento, entrato in vigore nel 2015, l’attività svolta dalle Procure, ha portato all’avvio di 3.753 procedimenti penali (quelli archiviati sono stati 623), con 10.419 persone denunciate e 3.165 ordinanze di custodia cautelare emesse.

Grazie alla legge sul caporalato, nel 2019 le denunce penali, amministrative e le diffide sono state complessivamente 618, contro le 197 del 2018 (+313,7%) e sono più che raddoppiati gli arresti, passati da 41 a 99. Le aziende agricole sono quelle più coinvolte, ma i controlli sui cantieri edili effettuati dal Comando carabinieri tutela del lavoro stanno rivelando un’illegalità sempre più diffusa, con 2.766 reati, 3.140 persone denunciate e 32 sequestri.

Le piaghe da sanare

Anche nel 2019 il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale. Sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. A guidare la classifica per numero di reati è la Campania, con 1.930 reati, seguita a grande distanza dalla Puglia (835) e dal Lazio, che con 770 reati sale al terzo posto di questa classifica. Per quanto riguarda le inchieste sui traffici illeciti di rifiuti: dal primo gennaio 2019 al 15 ottobre del 2020 ne sono state messe a segno 44, con 807 persone denunciate, 335 arresti e 168 imprese coinvolte. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro, pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna.

Diffusa ancora la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni che secondo le stime utilizzate dall’Istat nell’ambito del Bes (l’indicatore del Benessere equo e sostenibile), resta su livelli intollerabili per un paese civile: quella, provvisoria, del 2019 è del 17,7% sul totale delle nuove costruzioni e degli ampliamenti significativi.

Una particolare attenzione dovrà essere dedicata agli investimenti in appalti e opere pubbliche, soprattutto nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, anche alla luce delle ingenti risorse in arrivo dall’Europa attraverso il Next generation Eu. “I dati che pubblichiamo in questo Rapporto –spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – dimostrano come in tutti i casi di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose (29 quelli ancora oggi commissariati, dei quali ben 19 sciolti soltanto nel 2019) il principale interesse dei clan è proprio quello di condizionare gli appalti di ogni tipo, dalla manutenzione delle strade alla gestione dei rifiuti. Un fenomeno che s’intreccia con quello della corruzione”.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Nata nel 1999 a Siracusa, ad oggi studio Economia presso l'Università di Padova. Mi interesso di tematiche civili e sociali, ma soprattutto negli ultimi anni di ambiente e sostenibilità

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