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Bennett-Lapid: scalpo servito a Netanyahu
Israele ha catturato l’attenzione dell’Occidente per le ostilità con Hamas e la sua instabilità politica dalla frammentazione partiti.
Quattro elezioni in due anni. Israele ha catturato l’attenzione di tutto l’Occidente, non solo per l’escalation delle ostilità con Hamas, ma anche per la sua ormai nota e cronica instabilità politica, dovuta ad una grande frammentazione del sistema partitico.
“Questa è la truffa del secolo. Aveva detto in campagna elettorale che non avrebbe appoggiato Lapid”, ha incalzato, “di essere un uomo di destra, attaccato ai suoi valori. Naftali (Bennett), i tuoi valori hanno il peso di una piuma”.
Questo il durissimo attacco di Netanyahu contro il suo ex fedele alleato Naftali Bennett, leader del partito nazionalista Yamina, che ha definitivamente aperto al centrista Lapid per la formazione di un governo di unità nazionale (otto partiti di ideologie diversissime tra loro) in funzione anti-Bibi.
Il fallimento di Likud

Likud, il partito del premier uscente, ha vinto le elezioni di marzo, ma ha fallito ogni tentativo di accordo con altre forze, Yamina su tutte, per mantenere Bibi al potere. Bennett, un tempo vicinissimo al premier e già ministro della Difesa e dell’Economia, con i suoi sette seggi è decisivo per la formazione di qualsiasi coalizione che raggiunga la maggioranza di 61 seggi sui 120 totali della Knesset, e sta utilizzando questa forza contrattuale per arrivare addirittura al premierato.
Lapid, volto simbolo dell’opposizione e capo di Yesh Atid, la compagine arrivata seconda alle ultime elezioni, sarebbe disposto a cedere la leadership a Bennett ( per i primi due anni di governo, per poi subentrargli) pur di tenere fuori dai giochi Netanyahu, su cui ora pendono anche numerose accuse e processi per corruzione. Tuttavia, il sistema rigorosamente proporzionale israeliano impone alla neonata coalizione di trovare un difficile accordo con il partito arabo Ra’am, attualmente su posizioni molto distanti da Bennett.
L’accordo storico

Infatti, Bennett è da sempre favorevole agli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania ed è uno dei fautori della “linea dura” nei confronti dei palestinesi. Mansour Abbas, frontman di Ra’am, ha sfruttato al meglio la sua forza contrattuale, assicurandosi, in cambio dell’accordo, la presidenza della commissione Interni del Knesset e, soprattutto, la sospensione della legge Kaminiz del 2018, che prevede pene severissime per abusi edilizi (assai diffusi nelle zone arabe) e maggiori investimenti nelle zone a prevalenza araba.
Netanyahu ha colto la palla al balzo accusando Lapid e soprattutto Bennett di voler fare un governo “di sinistra” e ha ribadito come la sua figura sia l’unica in grado di assicurare stabilità e prestigio internazionale ad Israele. Si tratta di accordo storico, comunque la si pensi. Alla vigilia delle elezioni era impensabile una sintesi tra un nazionalista come Bennett e un partito arabo, eppure è successo sia per meriti del “tessitore” Lapid che per i ben noti demeriti di Bibi.

Non sappiamo effettivamente quanto potrà essere longevo il nuovo esecutivo, frutto di alleanze fragili, improbabili ed inaspettate. Quel che è certo che oggi Israele volta pagina: speriamo non sia solo una parentesi.
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