Connect with us

Cittadini

Stefania Maurizi:” Abbiamo bisogno del coraggio della Gen Z e Alpha per fare luce negli angoli bui dei governi”

Cos’ha fatto un giornalista come Julian Assange per “meritarsi” questa persecuzione sistematica che va avanti da una decina di anni? Ne parliamo con Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta che ha collaborato attivamente con Wikileaks, l’organizzazione fondata da Assange.

Published

on

Cos’ha fatto un giornalista come Julian Assange per “meritarsi” questa persecuzione sistematica che va avanti da una decina di anni? Oppure, perché una democrazia come quella degli Stati Uniti d’America vorrebbe vederlo al più presto rinchiuso nella più estrema prigione statunitense dove si trova anche il re del narcotraffico El Chapo?

Dopo aver recensito il nuovo libro di Stefania Maurizi, “Il potere segreto, perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks” edito Chiarelettere, proviamo a dare una risposta a queste domande scambiando quattro chiacchiere con l’autrice. Per chi non la conoscesse, Stefania Maurizi è una giornalista d’inchiesta che ha collaborato con Repubblica e L’Espresso e che ora scrive per Il Fatto Quotidiano. Stefania inoltre, come racconta nel suo libro, a partire dal 2009 ha iniziato a collaborare attivamente con Wikileaks, l’organizzazione fondata da Julian Assange che riceve in modo anonimo documenti segreti e poi, se ritiene che possano avere un grande impatto sull’opinione pubblica, li carica sul proprio sito web.

  • Quest’anno abbiamo commemorato il 20esimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle e il 20esimo anno della guerra in Afghanistan, ormai finita con il ritiro delle truppe americane e occidentali e il ritorno dei talebani al potere. Cosa crede sia cambiato rispetto al periodo precedente all’invasione americana?

La situazione dell’Afghanistan era drammatica e continua ad essere assolutamente drammatica. Venti anni di guerra non sono serviti a nulla, se non a ingrassare il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e a sterminare civili senza alcun risultato. Non dimentichiamoci che solo nel periodo dal 2009 al 2019 sono stati uccisi almeno 35.518 civili e ne sono stati feriti 66.546.

Questo significa oltre tremila morti innocenti all’anno: è come se dal gennaio del 2009 al dicembre del 2019 in Afghanistan ci fosse stato un 11 settembre all’anno.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un fallimento completo. Un fallimento che era già descritto in modo fattuale negli Afghan War Logs, i documenti segreti del governo americano sulla guerra in Afghanistan pubblicati da WikiLeaks e per cui Julian Assange non ha più conosciuto la libertà e rischia di perderla per sempre. In queste settimane, siamo in attesa della sentenza di appello del processo di estradizione: se gli Stati Uniti riusciranno a estradarlo, il fondatore di WikiLeaks rischia di finire seppellito per sempre nella prigione di massima sicurezza più estrema degli Stati Uniti cioè l’ADX Florence, dove si trovano criminali del calibro del re del narcotraffico, El Chapo.

E’ la prigione in cui, a detta delle autorità americane, finiscono quelli che non hanno alcun rispetto per la vita umana. L’ingiustizia mostruosa, come la chiama il grande Ken Loach nella prefazione al mio libro, è che a finirci sarà non chi ha distrutto l’Afghanistan, ha sterminato, torturato, ucciso migliaia di innocenti, ma sarà un giornalista che ha denunciato questi crimini.

Persone che dopo la caduta di Kabul si erano ammassate davanti l’aeroporto nel tentativo di scappare via dall’Afganistan, AFP
  • Attraverso molti episodi documentati da Wikileaks non crede che, in un certo senso, soprattutto nelle zone contadine afghane il dominio americano non fosse ben visto?

I file documentano che la guerra è stata condotta in modo così insensato che spesso le forze americane non avevano letteralmente idea di chi ammazzavano e quindi finivano per sterminare civili completamente innocenti, creando un forte risentimento nelle popolazioni locali.

  • In particolare, in che modo Wikileaks ha influito sul dibattito pubblico?

In un modo decisivo e che va al di là delle rivelazioni su questo o quel paese. WikiLeaks ha dimostrato all’opinione pubblica mondiale che la battaglia contro il segreto di Stato, quando questo viene usato non per proteggere i cittadini, ma per coprire la criminalità di Stato ai più alti livelli e per garantire l’impunità agli uomini delle istituzioni, può essere vinta. WikiLeaks ha dimostrato che neanche le più potenti agenzie governative riescono più a controllare i loro segreti. Non ci riescono neppure il Pentagono e la Cia, la cui potenza e influenza si fa sentire in ogni angolo del pianeta e le cui risorse economiche e tecnologiche non hanno eguali nel mondo. Queste istituzioni hanno reagito furiosamente alla pubblicazione dei loro segreti da parte di WikiLeaks e per questo la vita di Julian Assange è appesa a un filo.

Le autorità americane vogliono distruggerlo sia per punire lui e i giornalisti di WikiLeaks, sia per mandare un messaggio a chiunque altro si azzardi a fare lo stesso. Ovviamente Julian Assange e WikiLeaks non hanno fatto tutto da soli: senza fonti giornalistiche eroiche come Chelsea Manning, quegli sporchi segreti non sarebbero emersi. Serve un grandissimo coraggio sia per pubblicare quei documenti, come ha fatto WikiLeaks, sia per farli uscire, come ha fatto Manning. Lavoro da 13 anni ai file segreti dell’organizzazione di Assange e ho lavorato ai file top secret di Edward Snowden con Glenn Greenwald.

Chelsea Manning (Photo by Win McNamee/Getty Images)

Sono molto interessata alla generazione che voi rappresentate: la generazione Z. Julian Assange è nato nel 1971 e quindi appartiene alla generazione X, Chelsea Manning ed Edward Snowden sono millenials. Sono due generazioni che hanno visto la trasformazione di internet da strumento di emancipazione democratica a strumento di controllo orwelliano e hanno reagito:

hanno usato la potenza della tecnologia e di internet per cercare di cambiare il mondo, anziché per farsi un’aziendina nella Silicon Valley e fare i soldi.

Ma hanno pagato un prezzo altissimo: Chelsea Manning ha passato 8 anni in prigione e ha provato a suicidarsi tre volte. La sua unica colpa? Aver inviato a WikiLeaks documenti segreti del governo statunitense che rivelano crimini di guerra, torture, brutalità dall’Afghanistan all’Iraq fino a Guantanamo.

Chelsea Manning poteva voltarsi dall’altra parte, dopo aver visto quei documenti che lasciavano affiorare quelle gravissime violazioni dei diritti umani, eppure non l’ha fatto. Ha fatto una scelta di grande coraggio: una scelta di coscienza. Non ha fatto finta di nulla per non affrontare le gravi conseguenze che poi avrebbe subito. E così Julian Assange: poteva lasciar perdere e non pubblicare quei documenti ricevuti da Manning, consapevole che la loro pubblicazione avrebbe portato alla fine della sua vita normale, libera, sicura. E, infatti, dopo averli diffusi, non ha più conosciuto la libertà. Lo stesso vale per Edward Snowden: poteva godersi il suo ricco stipendio alla Nsa, a neanche 30 anni guadagnava già centinaia di migliaia di dollari, viveva nel paradiso delle Hawaii con la fidanzata.

Edward Snowden

Perché mettere a rischio tutto questo, per rivelare i programmi di sorveglianza di massa della Nsa? Ha seguito la sua coscienza, rischiando la testa. Ha dovuto lasciare il suo paese e vivere in esilio in Russia: non avrà mai più un giorno di normalità, perché dovrà guardarsi le spalle a vita. La Nsa e la comunità d’intelligence americana gli daranno la caccia fino alla fine del mondo, per aver rivelato i loro sporchi segreti. Visto questo prezzo enorme pagato da chi rivela la verità, mi chiedo cosa farà la generazione Z quando si troverà di fronte allo stesso dilemma? Farà come Manning oppure si volterà dall’altra parte? La generazione Z sarà altrettanto coraggiosa?

  • Si parla sempre di conseguenze per gli USA ma, in Italia invece cosa ha fatto emergere Wikileaks?

Ha fatto emergere così tante rivelazioni che non basta un libro per ricostruirle e infatti io ne ho scritti due sul tema. Uno specifico sui segreti italiani, dal titolo “Dossier WikiLeaks. Segreti italiani“, uscito dieci anni fa, e uno – “Il Potere Segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks“, appena uscito per Chiarelettere – che affronta la rivelazione più cruciale: la ricostruzione fattuale e dettagliata di come il nostro Paese è un ingranaggio fondamentale nella macchina da guerra degli Stati Uniti. E’ la macchina delle Forever Wars, che ha distrutto intere nazioni, dall’Iraq all’Afghanistan, creando milioni di morti e rifugiati, che scappano da noi, vengono a morire sulle nostre coste o vengono respinte in modo disumano dalla Polonia.

Possiamo attaccare il dittatore bielorusso Lukashenka quanto vogliamo e dire che è lui il demonio che ha creato questa crisi, spingendo i rifugiati verso i confini dell’Europa per destabilizzarla, ma quei rifugiati non li ha creati Lukashenka: vengono da paesi come l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, che le Forever War degli Stati Uniti e dei loro alleati hanno distrutto. L‘Italia è parte cruciale di questo ingranaggio, con una classe politica completamente supina agli Stati Uniti e al suo complesso militare-industriale e d’intelligence. Abbiamo le mani sporche di sangue.

  • Lei in Italia è stata la persona che ha diffuso i documenti di WikiLeaks: come si è avvicinata a Julian Assange?

Vorrei precisare che non mi sono limitata a ‘diffondere’ i documenti di WikiLeaks: ho contribuito, insieme con grandi team di giornalisti internazionali, a verificare l’autenticità di quei documenti, a ricavarne inchieste e articoli: un lavoro giornalistico molto duro e complesso. Per tornare alla domanda su come ho conosciuto Julian Assange e WikiLeaks, nel 2008, quando lavoravo per il settimanale l’Espresso, una mia fonte giornalistica smise improvvisamente di parlare con me, perché aveva paura di essere scoperta. Per fortuna presi molto sul serio le preoccupazioni della mia fonte e decisi che dovevo trovare un sistema molto più sicuro per comunicare con le mie fonti, perché le vecchie tecniche che si usano ancora oggi nelle redazioni di tutto il mondo, sono completamente superate: del tutto inadeguate al 21esimo secolo, l’era della sorveglianza di massa.

Prima di diventare giornalista, ho conseguito una laurea in matematica, avevo studiato alcune nozioni fondamentali di crittografia e quindi sapevo che la crittografia poteva proteggere le comunicazioni. Nel 2008, la crittografia non era user friendly come oggi: non esisteva Signal, non c’era Whatsapp. Esisteva una sola ed unica organizzazione giornalistica al mondo che usava la crittografia in modo sistematico per proteggere le fonti: WikiLeaks. Fu una mia fonte nel mondo della crittografia che mise WikiLeaks sul mio schermo radar. Cominciai a osservare il loro lavoro, a cercare di capire chi fossero, a contattarli. Una notte dell’estate 2009 furono loro di WikiLeaks a buttarmi giù dal letto: avevano un file sull’Italia e cercavano aiuto per verificarne l’autenticità e capire il contesto locale. Da quell’estate del 2009, non ho mai smesso di lavorare sui documenti segreti di WikiLeaks per il mio giornale, inizialmente l’Espresso, poi Repubblica, oggi il Fatto Quotidiano.

Ma mentre io e miei colleghi stranieri abbiamo potuto pubblicare tutte le rivelazioni di WikiLeaks in sicurezza e libertà, Julian Assange non ha più camminato per la strada da uomo libero dal 2010. Sono passati 11 anni. L’ho visto in occasione dell’ultima udienza del processo di estradizione, che si è tenuta il 27 e il 28 ottobre scorso: era irriconoscibile. Le autorità americane lo stanno uccidendo lentamente. Se non scoppia una rivolta di piazza per liberarlo, morirà in prigione, piano piano. Solo una grande mobilitazione internazionale può salvarlo: la legge non lo salverà. La legge è stata usata come una spada contro di lui, WikiLeaks e le loro fonti.

  • In questi ultimi mesi è stato anche scoperto un piano della Cia per arrestare ed assassinare Assange: perché voglio eliminarlo a tutti i costi? Dietro c’è questo “potere segreto” di cui parla? 

Per 11 anni Julian Assange è stato trattato da paranoico, da narcisista che si credeva al centro delle trame mondiali, che pensava che la Cia si interessasse a lui. Per 11 anni è stato linciato per la sua scelta di rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e chiedere protezione. Ora, 11 anni dopo, abbiamo la prova provata che tutto quello che Julian Assange temeva era vero: temeva che gli Stati Uniti lo avrebbe arrestato e imprigionato per sempre per aver rivelato crimini di guerra, torture, uccisioni stragiudiziali con i droni. Temeva che la Cia lo avrebbe messo nel mirino. E questo è successo. La Cia ha pianificato di ucciderlo o anche di rapirlo. L’abbiamo scoperto grazie a un’inchiesta di Yahoo! News basata su 30 fonti del governo e della comunità di intelligence americana.

Non dobbiamo pensare a cosa c’è ‘dietro’, perché spesso chi guarda dietro, non vede cosa ha davanti.

Abbiamo davanti quello che io nel mio libro chiamo il Potere Segreto. E’ il livello più alto del Potere, quello in cui si muovono i servizi segreti, le diplomazie. Su questo livello del Potere, il cittadino comune non ha alcun controllo, perché non ha accesso alle informazioni su come questo potere opera, in quanto quelle informazioni sono blindate dal segreto, un segreto molto spesso utilizzato non per proteggere la sicurezza dei cittadini, ma per coprire i crimini di Stato ai più alti livelli. Crimini di guerra, atrocità, stragi di civili completamente innocenti, uccisioni stragiudiziali.

Per la prima volta nella Storia, però, Julian Assange e WikiLeaks hanno aperto un profondo squarcio in questo Potere Segreto e hanno permesso a miliardi di cittadini di tutto il mondo di avere accesso a milioni di documenti su come questo potere opera nel buio, al riparo dagli sguardi dell’opinione pubblica, quando pianifica guerre, commette atrocità. Ecco perché il Potere Segreto vuole distruggere Julian Assange e i giornalisti di WikiLeaks: per vendicarsi dello squarcio che hanno aperto e per mandare un avvertimento a chiunque voglia seguirli sulla loro strada.

Julian Assange, oggi
  1. Qual è il messaggio che vuole lanciare con il suo libro frutto di ben 13 anni di lavoro? Forse è quelli che oggi le democrazie occidentali sono in pericolo?

Non voglio lanciare un messaggio, voglio contribuire, con il mio lavoro giornalistico, a creare una società dove è possibile rivelare la criminalità di Stato ai più alti livelli, senza finire 8 anni in prigione e cercare di commettere un suicidio tre volte, come ha fatto Chelsea Manning. Senza perdere la libertà per oltre dieci anni con il rischio di non riacquistarla mai più, come successo a Julian Assange. Senza dover scappare in un altro paese, guardandosi per sempre le spalle, come accaduto a Edward Snowden. Voglio contribuire a creare una società dove i criminali di guerra e i torturatori vanno in galera, mentre adesso ne abbiamo una in cui gli eroici whistleblower che rivelano crimini di guerra e torture vanno in galera e i criminali dormono tranquilli nei loro letti, senza aver mai passato una sola ora in prigione.

E’ questo che fa la differenza tra una democrazia e una dittatura: nei regimi non è possibile rivelare la criminalità di Stato ai più alti livelli e rimanere liberi e al sicuro, si finisce ammazzati o incarcerati per sempre. Nelle democrazie deve essere possibile. Voglio contribuire a creare una società così, perché al momento non esiste, come dimostrano i casi di Julian Assange, Chelsea Manning, Edward Snowden. Se guardiamo indietro, la nostra società è diventata meno feroce e disumana proprio perché intellettuali, giornalisti, attivisti hanno combattuto per un mondo più giusto, per la democrazia, per i diritti umani, per i diritti delle donne.

E’ arrivato il momento di combattere per il diritto dell’opinione pubblica di fare luce negli angoli più bui dei nostri governi, dove si pianificano guerre, colpi di stato, distruzioni di intere nazioni, torture, atrocità. Abbiamo bisogno della generazione Z e di quella dopo, la generazione Alfa. Il mondo si può cambiare e, infatti, nel corso dei secoli è enormemente cambiato. Questo cambiamento non è stato fortuito, è stato il frutto di generazioni che hanno combattuto. Oggi possiamo cambiarlo più rapidamente e su larga scala, rispetto a un secolo fa, grazie alla condivisione della conoscenza e alla mobilitazione globale.

Alla generazione Z e a quella Alfa dico: abbiamo bisogno del vostro coraggio.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore e fondatore del sito, scrivo per dare voce a chi non la può fare arrivare lontano. Viaggio ma di confini non ne ho mai visto uno, credo che esistano solamente nella mente di alcune persone.

Trending