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Politica

Mattarella bis, addio alla più bella del mondo

E alla fine, nonostante i profili autorevoli e le rose dei nomi tenute segrete fino all’ultimo, si è andati verso la riconferma di Sergio Mattarella per la Presidenza della Repubblica. Sicuramente uno dei migliori Presidenti che ha guidato il nostro Paese con saggezza e responsabilità ma, dov’è finita l’iniziativa politica?

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Scusateci l’assenza, il web ci ha bullizzati e noi abbiamo colto l’occasione per seguire con pazienza l’elezione del presidente della Repubblica. Pazienza. Ce n’è voluta tanta, non perché la politica avrebbe dovuto fare prima quanto perché sarebbe stato legittimo aspettarsi che facesse meglio. Si liberi il campo da fraintendimenti, Sergio Matterella ha guadagnato già in questi sette anni un posto nell’olimpo dei capi di stato. Lì accanto a quelli amati da tutti, nonostante una storia politica tutt’altro che neutrale.

A differenza di Ciampi, molto amato dai cittadini, il capo dello stato uscente e rientrante è un profilo che ha dedicato la sua vita alla politica delle stanze, Ministro per i rapporti con il Parlamento con De Mita e Goria, titolare del dicastero dell’istruzione con Andreotti, vicepresidente del Consiglio con D’Alema che poi lo volle alla difesa per poi essere riconfermato con il governo Amato. La sua prima elezione fu una scelta politica di parte, l’allora segretario del Pd Matteo Renzi lo volle dopo che Matterella si era sì ritirato a vita privata ma da Senatore del Partito Democratico. 

Nel corso di questa settimana il Presidente giurerà per la seconda volta, un quasi unicum. C’era stato il caso Napolitano nel 2013, evento per cui fu lo stesso senatore a vita a spendere parole di distima per l’intera classe politica. All’epoca rea di non aver avuto la capacità di mettere in piedi un profilo in grado di intercettare la volontà di tutti. L’atteggiamento remissivo dei grandi elettori del nostro parlamento ha deciso di mettere la prima carica dello stato nella condizione di essere egli di per sé un’eccezione costituzionale. Non una violazione come vorrebbe qualcuno per pungolare meglio la kasta, di fatto però nella più bella del mondo non è previsto che un Presidente della Repubblica sia  eletto due volte. Ecco perché il mandato dura sette anni. Un lasso di tempo sufficiente a garantire l’azione presidenziale, difficile da rinnovare.

Il nostro schema costituzionale mette il Presidente della Repubblica nella condizione di essere un profilo quasi inattaccabile dalla politica e che assolve ad un ruolo di garanzia per i cittadini rispetto all’azione delle Camere. Il dato che s’intende far emergere è che 14 anni da capo dello stato sono una stortura. Grave. Come ci si è arrivati invece è un climax di emozioni in un film senza lieto fine. Come detto in premessa parlare male di Mattarella è praticamente impossibile, la stessa Giorgia Meloni da mesi unica all’opposizione non è stata in grado di spendere parole nei confronti del capo dello stato. Ha attaccato Salvini, commentato i tanti segnali che Mattarella aveva mandato in questi mesi e criticato poi in maniera più o meno omogenea tutti i leader del centrosinistra. Verso Mattarella però neanche una parola, consapevole che di fatto ogni suo intervento in questi anni è stato coerente con il ruolo ed equilibrato rispetto all’interesse del paese. 

Dov’è finita l’iniziativa politica?

L’Aula della Camera semi vuota durante la seduta per l’approvazione del bilancio dello stato, Roma, 12 novembre 2011. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI


Quello che rimane da capire è dove sia finita l’iniziativa politica, la strategia dei leader. Hanno fallito i pontieri, quei parlamentari eletti con il solo compito di essere accolti nelle stanze degli avversati per portare le ambasciate commissionate dalle segreterie di partito. Ha fallito il favolistico profilo del kingmaker, quel mazziere che avrebbe dovuto dare le carte. Sarebbe potuto essere Giuseppe Conte, leader del partito più suffragato alle elezioni del 2018. Il capo politico pentastellato nei fatti ha dimostrato però di non avere alcuna presa su quel che rimane dei suoi gruppi parlamentari. La conta dei suoi fedelissimi difficilmente arriva a 100. Autonomi ed eletti su posizioni anticasta gridando all’impeachment di Mattarella, oggi i grillini sono divenuti europeisti e primi fan del neopresidente.

Poi c’è Matteo Salvini, capo della coalizione di centrodestra. Se Conte ha dimostrato di essere inerme rispetto al ruolo che dovrebbe svolgere, Salvini è riuscito a rompere una coalizione che Berlusconi aveva di fatto creato ad inizio del millennio. Ha lanciato nomi rivendicandone il ruolo come profili di stato, omettendo sempre quel piccolo particolare della storia politica di questi. Nessuna.

Letta è sicuramente tra quelli che ne esce meglio, con alcune doverose precisazioni. Renzi e Calenda hanno giocato il ruolo di un due di coppe con la briscola a bastoni, piccoli ma non insignificanti hanno lasciato che fosse il Partito democratico a condurre i giochi. Seguendo la linea del centrosinistra sia pur da posizioni differenti, Iv rimanendo in scia dem mentre Azione e Più Europa confermando il posizionamento sulla ministra Cartabia ad ogni giro elettorale. Quello che varrebbe la pena analizzare è come l’asse Pd-M5S fino ad oggi presentata come una solida realtà si sia rivelata un Titanic per l’ennesima volta.

Dando come esito una ingiustificata esultanza per la rielezione di un capo di stato di 83 anni che a 90 anni terminerà il suo mandato con 14 di presidenza alle spalle, causati dall’incapacità di individuare in un profilo di parte con la possibilità di essere allo stesso tempo garanzia per tutti. Ecco, in questo sabato 29 gennaio 2022 sono venuti a galla tutti i limiti della seconda repubblica. La stagione che non ha restituito al paese nessuna donna o uomo delle istituzioni, solo politici.  

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