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Cultura

L’emozione di vivere, tra cura e rimpianti, raccontata da Nazanine Hozar e da Severino Cesari

Questa settimana abbiamo recensito due libri editi da Einaudi che raccontano la vita sotto due angolature completamente differenti: da un lato c’è Nazanine Hozar con la sua “Aria” e dall’altro Saverino Cesari e il suo “Con molta cura”.

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Questa settimana abbiamo recensito due libri editi da Einaudi che, nonostante a prima vista possano sembrare del tutto sconnessi tra loro, in realtà hanno molto in comune: stiamo parlando di “Aria” di Nazanine Hozar e di “Con molta cura” di Severino Cesari. Prima di andare a vedere come questi due libri a modo loro raccontino la vita da angolature differenti, andiamo a vedere chi si cela dietro la mano che gli gettati su carta.

Il primo libro è un vero e proprio esordio fulminate della scrittrice iraniana Nazanine Hozar che, nata a Teheran, è dovuta scappare dalla sua terra in Canada all’età di sette anni dopo che gli Ayatollah hanno preso il potere. Presa di potere che diventa lo sfondo della vicenda raccontata in questo libro dalla lunga gestazione: iniziato a scrivere dall’autrice mentre frequentava il corso di scrittura creativa all’Università della British Columbia, viene poi continuato a scrivere da Nazanine sulla tastiera del suo cellulare mentre si recava a lavoro per poi riprenderlo in mano durante il suo periodo di ricovero ospedaliero.

Il secondo invece è il libro di Saverino Cesari che, scomparso nel 2017, creò le pagine culturali del manifesto e fu sia il fondatore che il direttore, insieme a Paolo Repetti, della collana Einaudi Stile libero facendo letteralmente crescere almeno due generazioni di scrittori oltre che ai tantissimi lettori che hanno e continuano a divorare i libri di questa collana innovativa, allora come adesso, per una casa editrice. Ad accomunare questi due libri, c’è anche la loro gestazione: quest’ultimo infatti è il frutto di una serie di riflessioni pubblicate prima delle sua scomparsa da Cesari sulla sua bacheca Facebook.

Aria ovvero la Teheran che non c’era e che c’è adesso

La storia che ci racconta Nazanine parte da una bambina di nome Aria che, abbandonata ancora in fasce dalla madre in un quartiere povero di Teheran, verrà trovata e cresciuta da un soldato fino ad essere adottata da una donna appartenente all’alta borghesia. La particolarità di questo romanzo è che la vita di Aria scorre in parallelo, fino ad intrecciarsi, con la storia di quell’Iran dove, un tempo, i musulmani vivono fianco a fianco con ebrei, cristiani e bahai.

A livello storico infatti, Aria inizia ad affacciarsi alla vita, che in prima battuta le presenta già un conto salato nonostante lei sia solamente una delle tante bambine con l’unica colpa di essere nate in luoghi dove non c’è niente per sfamarle, durante il periodo del colpo di Stato contro il premier Mossadeq che due anni prima aveva osato nazionalizzare il petrolio e che poi prosegue con la Rivoluzione bianca e le riforme dello scià, tra cui il suffragio universale e la distribuzione della terra ai contadini, chiudendosi nel 1981 con le purghe dei presunti oppositori della Repubblica islamica.

I rimpianti di un passato negli occhi verdi di una bambina

Una vita quella di Aria che, durante e dopo la Rivoluzione, si trasformerà in un rimpianto, così come trovate scritto tra le pagine di questo libro:“Avrebbe ripensato a come aveva condiviso con lei la propria tristezza, e avrebbe capito che si mente quando si dice che non si hanno rimpianti, perché in realtà buona parte della vita è piena di rimpianti e, giunti al termine della strada, è probabile che si renda conto che le cose sarebbero state migliori se le azioni compiute un tempo fossero svanite.”

Libro che, in ultima battuta, oltre a farci vedere attraverso la vita di Aria un Iran raccontato dai suoi occhi, dagli occhi di una ragazza che in fondo è una protagonista marginale della Storia, attrae già a partire dall’immagine di copertina frutto dell’elaborazione grafica di uno scatto di Mohamad Itani che ritrae una bambina mora con gli occhi verdi rimandando alla celebre fotografia scattata da Steve McCurry in un campo profughi di Peshawar nel 1984 e diventata un’icona dei conflitti afgani degli anni Ottanta.

La cura di una vita andata e difficile da lasciare

La vita emerge in tutta la sua forza sconvolgente anche nel libro di Saverino Cesari che, oltre a rappresentare un vero atto di coraggio dell’autore che mette su carta il progredire della sua malattia, rappresenta uno dei più belli messaggi lanciati anche alla mia generazione ossessionata dall’apparenza e dall’apparire. Come dice lui stesso:“Ma ce ne vuole di coraggio, o almeno ce n’è voluto molto a me, prima di decidermi a scrivere di un evento che ha cambiato le mie giornate e l’intero modo di vivere e lavorare, costringendomi a discipline e terapie aggiuntive, rispetto ad altre che devo seguire”.

Un libro che allo stesso tempo, oltre a mostrare la terapia medica come “una ghirlanda magica, un rimandarsi continuo” fatta da tutti quelli che ti circondano con le loro mille manifestazioni d’aspetto, è anche un testimone vivo di quanto accaduto all’autore frutto delle tante persone che hanno dialogato con lui sul suo account Facebook mentre affrontava la sua malattia dal 2015 al 2017.

Così come scrive lo stesso autore:“Io sono nient’altro che la cura che faccio. E non sono solo nel farla. La cura presuppone l’esercizio quotidiano dell’amore. Non c’è altra vita che questa, adesso, questa vita meravigliosa che permette altra vita. In una ghirlanda magica, un rimandarsi continuo. Mi travolge un’onda di gratitudine senza fine. Curarsi, praticare con metodo ed efficienza la cura che devi obbligatoriamente fare, vuol dire star bene, in linea di massima. L’esercizio quotidiano dell’amore, questo infine auguro a tutti, a tutte. Non c’è altro, credete. Se non avete sottomano l’opportunità di una cura da fare – scherzo, ma fino a un certo punto! – potete sempre però prendervi cura. Prendervi cura di voi stessi, e di quelli cui volete bene. E magari anche degli altri. Non c’è davvero altro, credete. Questo è davvero importante, penso allora: non è vita minore questa mia, che adesso mi è data, è vita e capacità e voglia di sorridere alla vita”.

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