Cultura
A trent’anni di distanza ecco il racconto di un’amicizia che si intreccia con l’operato di Giovanni Falcone
Amico di lunga data di Giovanni Falcone, Pino Arlacchi ha aspettato trent’anni per raccontare nel suo libro “Giovanni e io”, edito Chiarelettere, la sua amicizia con il giudice siciliano e il suo operato nell’Italia del rapporto tra lo Stato e la Mafia.

Trent’anni fa quella Sicilia dove a presidiare i confini della legalità non c’era lo Stato ma uomini e donne delle forze dell’ordine, giudici lasciati soli nella lotta contro la mafia era stata colpita nel profondo: due le stragi a 57 giorni di distanza in cui a perdere la vita furono due uomini, due amici che avevano provato a cambiare le cose, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel trentennale della loro scomparsa dove non è ancora stata fatta luce sulla loro morte, questa settimana vi proponiamo il libro di Pino Arlacchi che conosceva bene i due magistrati siciliani, “Giovanni e io” edito da Chiarelettere.
Prima di passare al racconto della sua lunga amicizia con Falcone, qualche parola su Pino Arlacchi è d’obbligo: già deputato e senatore Pd, Arlacchi oltre ad essere stato amico e collaboratore dei giudici Chinnici, Falcone e Borsellino, è ritenuto una delle massime autorità nel campo della sicurezza, ha redatto il progetto esecutivo della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, ed è stato vicedirettore generale dell’Onu.
Un racconto di un’amicizia e di una collaborazione durata 12 anni

“Nei giorni successivi alla strage di Capaci gli schermi televisivi italiani si affollarono di amici di Giovanni Falcone, ciascuno dei quali ansioso di offrire la sua accorata testimonianza. Una settimana dopo “gli amici di Giovanni”erano diventanti così numerosi da far dubitare che il grande giudice avesse avuto dei nemici. Sono stato anch’io “un amico di Giovanni” ma non ho mai esibito questo titolo. Neppure dopo essere stato nominato presidente onorario della fondazione che porta il suo nome”.
Con queste parole Pino Arlacchi inizia a raccontare in questo libro il suo rapporto, non solo lavorativo ma anche d’amicizia con Giovanni Falcone, iniziato nel 1980, attraverso cui ci restituisce dei momenti di vita autentici fuori dalla narrativa mitistica che con gli anni ha finito per avvolgere la figura di Falcone lasciando ai margini la triste consapevolezza che, ancora, troppi sono gli interrogativi sulla strage dove perse la vita lasciati senza una risposta.
Come continua Pino Arlacchi:” In pochi anni, dal contrasto di Cosa nostra e della rotta transatlantica della droga, siamo passati, Giovanni ed io, a quello del riciclaggio mondiale e della mafia di Stato. Fino a raggiungere le terre del Grande Male, dove è caduto Giovanni. Ho deciso di uscire allo scoperto poiché credo che sia venuto il momento di collocare la figura di questo grande italiano nel contesto della storia nazionale“.
L’alto senso del dovere e dello Stato
Da questo libro in cui Arlacchi racconta il lavoro sul campo condotto insieme all’amico Falcone emerge anche un’istantanea dell’Italia degli ultimi tre decenni del secolo scorso: dalla strategia della tensione all’alleanza con gli Stati Uniti durante la Guerra Fredda sino all’influenza degli apparati d’intelligence americani sulla nostra storia, compresa la grande stagione della lotta alla mafia.
Sfogliando le pagine capita anche di imbattersi nell’alto senso del dovere e dello Stato che aveva Giovanni Falcone fermamente convinto che “diritto e giustizia coincidevano. L’idea che per realizzare una giustizia antimafia di fatto occorresse mettere da parte le leggi, la legalità, e usare metodi simili a quelli degli avversari non l’ha mai sfiorato. Non dovete credere che ciò sia ovvio, e che in questo campo i mezzi si trovino allineati con i fini in tutte le circostanze”.

Tutto questo sarà lo stesso Falcone a ribadirlo anche durante i vari incontri con la polizia americana:”La domanda più ricorrente che gli veniva rivolta era:”Siccome ne conoscete gli autori, perché non li ammazzate?“. Ho assistito a questa scena, e ricordo Giovanni alzare gli occhi al cielo e tentare di spiegare che l’Italia è uno Stato democratico dove non si può condannare nessuno senza un regolare processo. E non lo si può ammazzare, perché non c’è la pena di morte“.
Tanti gli episodi, come questo, che Arlacchi racconta in questo libro dove cerca anche di ricostruire quei delitti che segnarono gli anni ’90 inquadrandoli non solo sotto l’ottica mafiosa ma anche sotto la lente dei nostri servizi segreti dove si è giocato un pezzo di partita non indifferente.
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